Marco Citron
Utopia urbana

Trieste, Palazzo Costanzi
aprile ― maggio 2016

Il moderno è pratica vintage
Daniele Capra




Utopia Urbana nasce da una scrupolosa analisi visiva dell’urbanistica e dell’architettonica sovietica che Marco Citron conduce da una decina di anni, parte della quale è stata recentemente pubblicata nel libro Urbanism 1.01 che ha ricevuto grande attenzione dai media europei, ma non ancora esposta in Italia. Utopia urbana raccoglie quaranta foto della sua recente produzione tra cui una decina di scatti inediti che spaziano dalla fotografia panoramica all’impiego di cartoline vintage dell’era comunista, che Citron ha ricondotto a nuova vita.

La ricerca di Marco Citron è rivolta al paesaggio e al contesto cittadino, con particolare attenzione alle dinamiche di antropizzazione e agli sviluppi dei complessi urbani. Le sue immagini analizzano le volumetrie delle grandi strutture abitative e i particolari rapporti tra i pieni e vuoti che si innescano nella grande scala. Gli scatti di Utopia urbana si misurano in particolare con l’edilizia popolare, le infrastrutture stradali e gli edifici pubblici costruiti, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, in alcune città che costituivano le ex Repubbliche Sovietiche.

Citron nei suoi scatti racconta un’architettura modernista e spigolosa, a tratti apertamente brutalista, ritratta però a decenni di distanza dalle condizioni storico-sociali che l’hanno prodotta. Le sue immagini non indugiano in alcuna forma di malinconia per il passato o di rimpianto per l’utopia politica, ed estetica, dei paesi del socialismo reale. Riflettono invece sul Novecento e su come in sostanza sia stato fortemente caratterizzato dalle istanze di miglioramento e di rinnovamento sociale. Ad una fotografia di architettura che è sovente costituita di narrazioni basate su elementi descrittivi concreti, egli sembra così contrapporre una visione teorica dell’urbanistica e degli spazi, che vengono quasi completamente privati dalle connotazioni accidentali, temporali e topologiche. Prive di ogni riferimento che ci consenta di identificare un luogo determinato, le viste di Citron (che appaiono realistiche benché spesso generino il sospetto di non essere compiutamente reali) sembrano città ideali, contraddistinte da una forte tensione filosofica e razionale, pur nella consapevolezza di un’utopia che è stata superata e forse dimenticata.
Non sfugga però l’ironia delle sue immagini. Ludicamente chiamate Boring Landscapes, in un omaggio a Martin Parr e alle serie delle sue Boring Postcards, sono un conte philosophique in cui il passato, l’utopia novecentesca, il moderno – che è ormai pratica vintage si misurano e discutono animosamente su quello che non è stato certo «il migliore dei mondi possibili».