Giancarlo Dell’Antonia
I miei infiniti Alberi

Montebelluna, Villa Romivo
settembre ― novembre 2017

Una folata di aria fresca
Daniele Capra




L’albero è uno dei soggetti naturali più presenti nella storia della pittura, già a partire dalla fine del Duecento. L’albero è per antonomasia l’elemento che caratterizza e rivela l’ambientazione dell’opera in un contesto paesaggistico, talvolta selvaggio, in opposizione alle rappresentazioni in spazi cittadini o in qualche modo antropizzati. Il ciclo giottesco delle Storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi ne è un esempio lampante: quando il Santo viene rappresentato in contesti urbani caratterizzati dalla presenza di edifici e di altri uomini non vi sono alberi o arbusti; se invece la scena è ambientata fuori le mura cittadine proprio gli alberi, insieme alle rocce, ci danno conferma dello scenario naturale (poiché è già antropologicamente consolidata l’opposizione città / spazio naturale). Si pensi ad esempio all’affresco nel quale Francesco dona il mantello ad un povero o alla commovente Predica agli uccelli, dove l’albero, sotto cui stanno i volatili, è raffigurato realisticamente con grande attenzione ai dettagli del fogliame e della corteccia.


Man mano che dalla metà del XV secolo l’arte si affranca dall’esclusività del soggetto religioso e trova una committenza dagli interessi più mondani, l’albero definisce il contesto anche per innumerevoli soggetti mitologici e con la nascita del genere del paesaggio, diventa esso stesso soggetto pittorico, l’obiettivo al quale mirano gli sforzi dell’artista. Una nuova attenzione verso la natura si registra dalla fine del Settecento per poi fiorire con intensità ancor maggiore nel Romanticismo: l’albero è un simbolo di radicamento alla terra e di resistenza agli eventi meteorologici, alla furia dei venti, ai fulmini e alle tempeste. È insieme scenario e semplice eroe che si contrappone alle smisurate forze della natura, le quali – scatenandosi – ingenerano in chi guarda emozioni, paura, o, secondo le celebri teorizzazioni di Edmund Burke e poi di Immanuel Kant, il senso del sublime.


Progressivamente negli ultimi cinquant’anni la nascita dell’ecologia e la consapevolezza della condizione di sfruttamento e progressivo degrado della terra hanno cambiato la nostra sensibilità nei confronti degli alberi. Essi non sono più solamente delle piante, sono elementi che garantiscono la nostra sopravvivenza, come ad esempio testimoniato dall’uso della parola «polmone verde» per indicare il «bosco», il nome collettivo di albero. Avviene cioè in questa forma linguistica l’estensione della nostra fisiologia verso il mondo vegetale, in un reciproco riconoscersi che è anche di natura chimica, poiché essi si nutrono dei nostri scarti (anidride carbonica) ricambiandoci con ciò di cui abbiamo bisogno (ossigeno). Il progetto di Giancarlo Dell’Antonia I miei infiniti Alberi nasce proprio da tale sensibilità empatica nei confronti dell’albero, soggetto del quale l’artista fornisce un’analisi che è insieme percettiva ed emotiva.


In primo luogo egli mette in luce gli aspetti dimensionali e temporali che lo legano alla pianta. Se da un lato, infatti, la quasi totalità degli alberi misuri almeno due o tre volte l’altezza media di un uomo, frequentemente accade che il fattore moltiplicativo sia quindici o venti. L’artista sottolinea proprio tale elemento, agendo digitalmente sull’immagine in maniera da evidenziare la magnificenza e la tensione verticale, il suo dispiegarsi al cielo come un rotolo infinito che sfugge alla misura del nostro occhio. Allo sguardo dell’uomo – terreno, complanare, volto all’orizzonte e agli aspetti di misurabilità del mondo – l’artista oppone così l’elevazione delle fronde e la perpendicolarità del fusto, incommensurabili al nostro sguardo, perché naturalmente e superbamente distanti dal nostro campo d’azione visivo diretto. Ma la vegetazione rigogliosa e le dimensioni raggiunte dalle piante (sottolineate dall’adozione di una prospettiva verticale nonché dalla manipolazione digitale con un nebuloso e straniante effetto trascinamento che ne rallenta la visione da parte dell’osservatore), indicano anche come la sproporzione albero / uomo si misuri anche nel campo temporale: molti alberi ci preesistono e presumibilmente vivranno più di noi. Su di essi infatti, in maniera lenta ma inesorabile, si addensano il succedersi delle differenti stagioni, gli avvenimenti che scandiscono le nostre vicende personali e il tempo universale che scorre indipendentemente dalla nostra volontà.


In secondo luogo l’artista fa evolvere il proprio sentimento in una relazione emotiva con le piante. Egli umanizza l’albero, rivolgendosi ad esso come ad un amico fraterno, come sottolineato dall’uso della maiuscola nei titoli delle opere. L’albero è così una creatura che, come un nostro vecchio nonno, abbisogna di cure, di attenzioni, di parole, di riconoscenza ed affetto.
Gli interessi dell’artista sono però anche sottilmente rivolti all’albero come elemento politico, che interessa l’uomo in quanto abitante di una città e cittadino della terra, mai come ora vessata da una feroce ed inarrestabile tensione capitalistica a produrre, consumare, distruggere, con scarsissima attenzione alle implicazioni ambientali. Gli alberi diventano così il simbolo della fragilità della nostra vita contemporanea; un monito, cui non prestiamo ascolto, rivolto alla nostra condizione di stoltezza. Gli alberi di Dell’Antonia sono così dei dispositivi che rivelano, con la loro bellezza, la loro misteriosa chioma, la nostra irresponsabile mediocrità nei temi urbanistici, ecologici ed economici. Gli alberi, che nell’immensa maestosità del loro ergersi verso il cielo devono lottare contro le speculazioni edilizie, l’asfalto, l’inquinamento e i cambiamenti climatici sono – nelle sue opere – dei presìdi, dei meravigliosi e delicati simboli di resistenza che si oppongono alla violenza del mondo in cui viviamo. Sono dei maestosi guardiani che combattono al nostro fianco per garantirci parte di ciò di cui abbiamo fondamentale bisogno, come un ritaglio di ombra, una folata di aria fresca.

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