Giuseppe Gonella
Envolved

Milan (I), Galleria Giovanni Bonelli
settembre — ottobre 2013

Pittura per vecchioni
Daniele Capra




L’opera pittorica è un dispositivo sostanzialmente bidimensionale, storicamente legata alla necessità rappresentativa di ricondurre sulla superficie dei pezzi di realtà, sebbene non siano mancati nel corso degli ultimi cinquant’anni esempi liminari che l’hanno spinta con decisione a violare concettualmente lo spazio tradizionalmente assegnatele (come ad esempio nel caso di Alberto Burri o Lucio Fontana). Come è noto anche ad una persona non addetta ai lavori, sono altezza e lunghezza a definire lo spazio assegnato al contenuto visivo dell’opera: la tela si caratterizza cioè come una superficie limitata di forma regolare, mentre tutto ciò che ne è incluso non contribuisce a realizzare l’opera.
Poiché l’angolo di visione dell’occhio umano ha caratteristiche proprie ed immodificabili (contrariamente a quanto accade ad esempio con le ottiche degli obbiettivi fotografici, capaci di variare l’angolo di visione e quindi la possibilità di vedere un maggiore/minore dettaglio), la dimensione di un’opera instaura una relazione (bi)univoca con lo spettatore: al di là delle valutazioni soggettive sul contenuto e sull’estetica del manufatto artistico, la dimensione di ciò che vediamo è un fattore rilevante nel campo pittorico, poiché il rapporto tra il nostro angolo di visione e l’opera non è sostanzialmente modificabile.
Se un’immagine, nel suo status di costruzione mentale, di idea, non necessariamente deve avere una dimensione, l’opera deve invece inevitabilmente possedere un’estensione fisica, dato che è l’esito di un processo che prevede che essa stessa sia osservata da una persona direttamente con i propri occhi. Ciò, ovviamente, condiziona anche una delle sue caratteristiche formali: la composizione, ossia, la logica della dislocazione dei sui differenti elementi. Banalmente vi sono opere nate per essere piccole, ed altre che invece necessitano di maggiore superficie per relazionarsi con l’osservatore, dato che devono colpire una maggiore parte di retina; inoltre il rapporto tra le due dimensioni (altezza e larghezza) risulta fondamentale, poiché determina la strategia di visione: tendenzialmente un’opera verticale consente di vedere dello spazio bianco ai lati, una orizzontale lascia invece dei margini sopra e sotto. Tale modalità, formalmente ineccepibile, è caratterizzata dalla staticità: l’opera è cioè se stessa sin dal suo concepimento, sin dalle scelte di composizione attuate dall’artista, indipendentemente dal contenuto e da eventuali ripensamenti, poiché è unica e fissa la sua superficie.


Non rispetta tale processo Giuseppe Gonella, che invece costruisce le sue opere dipingendo su rotoli di tela di grandi dimensioni e ritagliando successivamente quelle porzioni che, per energia psichica, per intensità o per ritmo visivo, costruiscono elementi aggregati di contenuto semantico. L’artista, infatti, prosegue per sommatorie costruendo dei sintagmi cogenti, procedendo a quel punto ad un taglio, del tutto in maniera analoga a quanto accade con il montaggio cinematografico nel momento in cui si mettono assieme differenti takes della medesima scena.
Gonella attua cioè – si noti bene con la tela – quella «operazione tecnica che consiste nel selezionare e combinare segmenti più o meno estesi di pellicola impressionata secondo diversi criteri di scelta e concatenazione» (come scrive Pietro Montani alla voce «montaggio» dell’Enciclopedia del Cinema pubblicata, nel 2004, dall’Istituto Treccani). Si tratta essenzialmente di dare una differente articolazione al flusso visivo e di ricomporre gli elementi che si sono susseguiti sulla superficie, in modalità additiva, in maniera tale da generare una struttura. Gonella sceglie quindi l’inquadratura (cioè le dimensioni della tela ed il suo orientamento) determinandone il contenuto e, di conseguenza, gli aspetti che invece sono da collocare fuori campo, da escludere: in tale modo la struttura – composta da elementi clusterizzati sia di origine figurativa che aniconica – acquisisce la densità compositiva desiderata, ma anche ritmo e, inevitabilmente, senso.
L’approccio dell’artista è quindi dinamico ed antiaccademico, poiché non risulta costruito in forma ordinata e lineare, ma procede per paratassi, per accumulo. Le unità minime semantiche (un segno, una figura, un oggetto) vengono accostate senza soluzione di continuità in base ad un principio aggregativo che ha anche evidenti aspetti di casualità, ma il montaggio conclusivo ne garantisce la coesione formale, in un processo di revisione/ripensamento. È come se una pagina di letteratura scaturisse dalla somma di elementi ottenuti in successive campionature all’interno di un vocabolario. E, più di ogni altra cosa, è come se la grammatica che regge funzionalmente ciascun elemento del periodo fosse stata abolita, ma le frasi fossero perfettamente intellegibili dal lettore, cui non resta che dedicarsi ad un lavoro attento di scansione dell’opera.


È una pittura pura, quella praticata da Gonella, che scaturisce in modo a-progettuale dal lavoro svolto direttamente sulla tela. Mai come nel suo caso, il pensiero coincide con l’esecuzione e matura essenzialmente in fieri, nelle ore passate a sperimentare procedendo a tentativi, per poi ricomporre e rimuginare sugli aspetti che non tornano. La superficie è percorsa da continui fremiti degli elementi, che si manifestano nel dettaglio realista, nella pennellata primordiale gestuale e corposa, nella trama aniconica: è un folle inseguirsi dei particolari che coinvolgono lo spettatore in un vortice, agitato anche dalle continue frizioni sulla tela tra aspetti non iconici e parti figurative. Emergono così un vigore esecutivo eiaculatorio ed una tensione immaginifica che è insieme ansiogena ed erotica, poiché dotata di un magnetismo avvincente, tale da rendere l’osservatore un voyeur che difficilmente riesce a trattenersi dalla propria pulsione scopofila. Compiaciuto ed eccitato come uno dei vecchioni che guarda e desidera di possedere Susanna al bagno.