Śiva
Energy Blow

Milano, Tube Gallery
settembre ― ottobre 2009

Un pneuma magico
Daniele Capra




È difficile immaginare che una tela o una tavola dipinta possano essere nutrienti, che possano cioè metterci in una condizione di soddisfare alcune delle nostre necessità primarie o di alimentare qualcuno dei nostri bisogni, tanto più quello del sacro, sentimento lentamente ma inesorabilmente accantonato e dimenticato con l’avvento nell’Occidente della modernità e di una società secolarizzata. Il massiccio impiego della tecnologia, l’importanza enorme data alla produzione (e al consumo) di beni, la misura continua e costante del tempo, il costante bombardamento comunicativo di cui siamo vittime, rendono infatti il sacro sentimento e necessità sempre più marginali, o quanto meno da relegare in situazioni rituali e codificate che non si sottraggono a mode o correnti di pensiero estemporanee. A questa tendenza non è sfuggita l’arte, la cui vicenda – sin dalle avanguardie del primo Novecento – nasce sotto la pressante e reiterata necessità di edipico parricidio: il senso del sacro diventa così carne da macello a buon mercato da sacrificare sull’altare della ricerca e della rivoluzione linguistica, mentre l’ente che per oltre mille anni si era caratterizzato come custode di senso e come committente di arte visiva perde progressivamente il contatto con i nuovi linguaggi e diventa incapace di essere ancora committente di valore.

Per quanto figurativamente distante da quella che ci aspetteremmo come produzione sacra, la pittura di Śiva risulta irresistibilmente sensibile alle istanze spirituali più silenziose, talvolta sottaciute e travestite da un complesso apparato compositivo e decorativo. Cromaticamente fresca e aperta a suggestioni retiniche edonistiche, la ricerca di Śiva trova infatti il proprio centro ideale nella commistione tra aspetti iconici ed un sotterraneo simbolismo di provenienza orientale, evidentemente di aria indiana, come testimoniano la scelta del proprio nome (che non è un banale nome d’arte bensì una espressione di esigenze intime più complesse). “Mi interessa il magico potere che possono avere certe immagini – racconta l’artista –, certe forme o alcuni colori nella psiche dello spettatore. In tal senso credo che l’arte possa essere curativa: anzi secondo me è un suo requisito fondamentale. La mia scelta è di influire positivamente nello spettatore utilizzando immagini di elevazione dello spirito, di armonia e di continuo e costante miglioramento dalla materia grezza verso l’essenza”. Non solo quindi la pittura è manifestazione di una realtà siderale che abbisogna della superficie per veicolarsi, ma nel contempo manifesta degli stimoli che portano al miglioramenti morale, in qualche maniera come la filosofia rappresenta per gli epicurei il necessario tetrapharmakon contro il male di vivere.

Il reiterato interesse nei confronti del corallo e delle sue possibili ed infinite germinazioni, ma anche del variopinto piumaggio degli uccelli, nascono dalla necessità di creare composizioni con strutture aperte e che si propagano verso l’alto, capaci di mostrare i volatili in diverse collocazioni a differenti altezze. Il corallo rappresenta simbolicamente la condensazione mondana (su un elemento ibrido e ambiguo che ha le caratteristiche sia del vegetale che di essere inanimato) del pneuma vitale che dalla terra nasce e si diffonde, in maniera proteiforme e mai uguale a se stesso. Gli uccelli testimoniano invece differenti punti di accumulo energetico del soffio che si ramifica. La bellezza polimorfa e naturale dei pennuti, dal carattere magico, diventa così motivo lirico ed intima metafora di una spiritualità che si mostra contemporaneamente struggente, per la delicatezza del tratto e del disegno, e sensuale, per la carica erotica del colore. Morbidamente appollaiati e messi in relazione l’uni con gli altri con dei fili di lana colorata, gli uccelli mostrano una forte carica vitalistica, cui non pare estranea la metafora dell’organo sessuale maschile, come da tradizione già nota sin dal Rinascimento.

La pittura di Śiva tende così a non essere più – o soltanto – lavoro da pittore, quanto invece semplice medium, supporto, grazie a cui si veicolano senso e spirito con estrema consapevolezza. In grado di alimentare interazioni concettuali (ed iconiche) e di sostenere, come affermava Anassimene, “il soffio e l’aria che circondano il mondo intero”.