Silvano Tessarollo
Fragile

Torino, Paolo Tonin Arte Contemporanea
novembre ― dicembre 2011

Il riso abbonda sulla bocca degli stolti?
Daniele Capra




È un’acquisizione piuttosto recente, nei fatti gli anni Novanta [1], il fatto di considerare il disegno come medium in sé, cioè come forma espressiva realmente autonoma e con una propria identità, e non come lavoro preparatorio o con funzioni di schizzo, quasi fosse fratello minore o adolescente della pittura. Lo status del disegno – eccettuata l’arte concettuale dalle istanze più radicali e profonde secondo cui l’opera ed il suo progetto sostanzialmente sono la stessa cosa o per lo meno collimano, come capita ad esempio ai lavori di Sol Lewitt – è stato infatti rinegoziato progressivamente dalla pratica estensiva dell’arte, come uno degli esiti del postmoderno. Come Barry Schwabsky nel saggio introduttivo di Vitamin P [2] spiega come la pittura non sia più solo una pratica che si fa con il pennello ma il risultato di azioni e processi infiniti ed eterogenei, ugualmente è lecito considerare il disegno come somma di infiniti addendi in cui la tecnica esecutiva è solo la modalità grazie a cui si concretizza materialmente, si addensa, quello che sta altrove.

La capacità di manipolare instancabilmente la materia è centrale in tutto il lavoro di Silvano Tessarollo, a tal punto che è lecito supporre che egli sia artista per pratica, per impulso ad operare e non, come converrebbe dire o supporre, per pensiero. Non certo che il pensiero sia assente, ma è sempre indietro, che insegue stancamente l’uomo artigiano che è abituato a sgambettare: lo spazio della riflessione è ex-post, a fatto compiuto. Dobbiamo sapere questo per arrivare a capire come egli si è mosso da un senso barocco e strabiliante della materia ad un più rigoroso e misurato bianco e nero a matita di Disegno Semplice. Il fatto che un disegno, o il disegno tout court come pratica, sia punto d’approdo (ovviamente momentaneo, poiché l’artista è ancora in moto) dell’evoluzione di Tessarollo, da un lato ribalta completamente l’idea preparatoria del medium, e dall’altro dà misura di come – lavorando – l’artista abbia svolto un percorso evolutivo inimmaginabile anche per coloro che ne sono fraternamente amici. E tale percorso sembra nascere per scarti in avanti e scarti di materiale, come se qualsiasi opera precedente fosse il bozzetto di quella successiva. Tessarollo sta cioè realizzando sempre e solo una stessa opera, caratterizzata però da forma differenti (molto spesso non riconoscibili esteticamente) poiché differenti sono gli aggiustamenti che le intemperie del quotidiano richiedono. Chi guarda deve solo ricercare le connessioni, poiché cambiare frequentemente stile/forma è di per sé uno stile.

Disegno Semplice è un lavoro su carta che nasce da una foto realizzata ad opere pre-esistenti. Se generalmente molti artisti usano foto per dipingere o per trarre ispirazioni – il nostro è pur sempre un mondo fatto di immagini –, l’artista in questo caso ha scelto come fonte il ritratto di una propria opera. Il processo cronologicamente è il seguente: scultura, fotografia nel proprio studio, disegno. Se così l’opera iniziale è proiezione diretta dell’artista (dato che egli ha lasciato impresso la traccia delle proprie mani), alla fotografia è assegnato il ruolo mediale (di trasmissione dell’apparato iconografico e del sistema di segni), mentre il disegno che nasce dalla foto racconta invece il ritorno delle mani che lavorano; e, da un altro punto di vista, l’inconscia ossessione per voler lasciare traccia della propria presenza fisica. Al monito insieme lugubre e terreno del memento mori, Tessarollo oppone infatti il personale e liberatorio ricordati che devi vivere, frase che egli stesso ha scritto – non a caso – in un muro del proprio studio. È la sua vitalità da uccello che si muove sugli alberi che tesse e sorregge il filo attorcigliato che lega i tre stadi dell’opera, in cui il finale a sorpresa occupa il posto dell’introduzione.

Prende forma per una somma di fogli di carta infatti Disegno Semplice (in realtà tutto il lavoro di Tessarollo è additivo, a partire proprio dalla scultura), quasi realizzata per addizione di tessere di un mosaico cui nemmeno l’artista aveva pensato. Ad un primo foglio ne seguono altri fino al compiersi di una crocifissione, in cui, al posto del consueto Cristo, sta una propria scultura (il che lascia il dubbio che l’opera sia in realtà un discorso su sé stessa, una metafora del proprio travaglio, in forma maieutica [3]) e in basso si vedono, sul terreno, un teschio e qualche roccia. Il lavoro è disegnato per tratti, metodicamente, a spicchi di circonferenza che intrecciandosi fanno il chiaroscuro, con un criterio che ricorda molto l’incisione a punta secca. L’impatto è urticante, fastidioso, come se in un momento tragico, solenne, si sentisse un rumore inopportuno e spiazzante deflagrare in un ambiente sacro. Pare quasi di riconoscere la risata goliardica di Gino De Dominicis.




[1] Si pensi all’importanza assunta da lavori come quelli di Kiki Smith, dei fratelli Chapman, di Raymond Pettibon, William Kentridge o di Luigi Ontani.
[2] B. Schwabsky, Painting in the interrogative mode, in Vitamin P: New Perspectives in Painting, Phaidon Press, London, 2002.
[3] La maieutica era “l’arte dell’ostetrica”, il procedimento dialettico adoperato da Socrate per la ricerca della verità a partire dal confronto con l’altro.