Visioni indipendenti

Padova, Superfluo
aprile 2011

Facciaafaccia
Daniele Capra




Le interviste realizzate ai partecipanti della tavola rotonda Visioni indipendenti ospitata nel gennaio 2011 in occasione della mostra Central Park.






Francesco Urbano Ragazzi
Associazione E, Venezia



Cosa vuol dire per voi “spazio indipendente”?



Se dici spazio indipendente, la prima cosa che ci viene in mente è una bella villa al mare. Regno del relax dove i rapporti con il mondo esterno non sono necessari e, se lo sono, non ti pesano. Purtroppo ci accorgiamo che è solo un miraggio.
Noi, che ciclicamente cambiamo luogo di lavoro (oltre che di abitazione), purtroppo siamo abituati a ben altre condizioni. Ci siamo posizionati in minuscole cabine di proiezione, giardini selvaggi, gelide verande, magazzini e antri impraticabili, per approdare talvolta, e solo per effimeri momenti di gloria, in sedi prestigiose. Se sei davvero indipendente e riesci a sviluppare progetti validi (cosa per altro sempre discutibile), muovi pubblico, e trasformi bugigattoli e periferie in luoghi cool, raccoglierai molta più invidia e boicottaggio che stima e consenso. Cerchiamo di essere come spacciatori. Per sopravvivere e arricchirci non possiamo far altro che attrarre continuamente nuovi consumatori e renderli dipendenti da ciò offriamo.

Da quali necessità si sviluppa uno spazio al di fuori delle logiche espositive di galleria/museo?



Chiosando la celebre distinzione coniata da Susan Sontag, potremmo dire che mentre la galleria è lo spazio del commercio e il museo quello dell’ermeneutica, il no-profit è il luogo di un’eccitante e intensa erotica dell’arte! Ci si concede il lusso della prova e dell’errore, si tentano relazioni tra opere e persone che non è detto diventino momenti consolidati della storia contemporanea. Hanno il valore che hanno: quello di esperimenti. Se arriveremo a un’invenzione brillante o ci scoppierà la casa per una combinazione sbagliata, lo scopriremo solo dopo aver provato.
Noi abbiamo iniziato a lavorare assieme a Venezia ed è quindi a partire da qui che abbiamo sentito per la prima volta l’urgenza di costituirci come indipendenti. Nella città-vetrina per eccellenza, ci siamo chiesti se e come potessero esistere degli spazi di produzione culturale che si muovessero in parallelo alla moltitudine di occasioni meramente espositive. Abbiamo intuito che la risposta a questa domanda, posta proprio su quest’isola, ha a che fare con l’accoglienza. Accoglienza del lavoro dell’artista, del suo operare, più che dell’opera e dell’ansia di prestazione/esibizione che questa si porta dietro. Venezia però è solo il paradigma di una metodologia che ci sta portando altrove.

Quali sono le pecche più grandi del sistema dell’arte contemporanea? E come si potrebbero risolvere?



I sistemi dell’arte contemporanea sono tanti e non smettono mai di sorprenderci. Esistono approcci, metodi, livelli ed economie talmente differenti che non è facile trovare la matrice comune. Certamente c’è uno star system che guida la scena internazionale e con cui, volenti o nolenti, ci si deve confrontare. Spesso il confronto diventa talmente serrato da generare una separazione dal resto. La salita, l’imporsi nel campo, la giusta carriera rischiano di avere il sopravvento, con effetti spesso controproducenti.
Ci interessano progetti come Superfluo perché con umiltà operano sul piano locale senza che questo svilisca il senso e la portata della ricerca artistica. E poi, cosa non secondaria, le città e gli abitanti, in questo modo, non sono una realtà parallela: sono e devono essere inclusi.

Ci fate una sintesi del vostro lavoro?



In ogni progetto realizzato finora, abbiamo cercato di mettere a frutto modalità di relazione che implicano un’attenzione passiva verso il reale: modalità che includono ad esempio l’ascolto, l’invito, la delega, il dono. Dare spazio rimane il nostro obiettivo primario: non possiamo ottenerlo senza pensare che la curatela è legata imprescindibilmente a un rapporto diretto e continuo con gli artisti, il loro lavoro e l’effetto che genera.
Nel concreto, ci siamo dedicati all’apertura di luoghi di produzione attraverso programmi di residenza, festival itineranti negli atelier, allestimenti partecipati di spazi improbabili. Non abbiamo sponsor fissi, ma formiamo di volta in volta una rete di partner ad hoc. Una costante delle strategie che abbiamo attuato per finanziarci è stata il coinvolgimento di istituzioni locali, nazionali e internazionali: crediamo infatti che le realtà indipendenti debbano colmare un gap di riconoscimento tanto verso le amministrazioni pubbliche quanto verso i privati.

Se domani vi regalassero la bacchetta magica, cosa fareste?



Ci faremmo una bella villa al mare, naturalmente… Conoscendoci, però, dopo poco rischieremmo di farla diventare il quartier generale di laboratori e residenze d’artista. E a quel punto forse finiremmo con imprecare proprio contro la bacchetta!




Silvia Ferri De Lazara
fondazione march, Padova



Cosa vuol dire per te “spazio indipendente”?



Uno spazio che si inventa strategie per reperire i fondi di volta in volta e che li reinveste per sostenere una ricerca…

Da quali necessità si sviluppa uno spazio al di fuori delle logiche espositive di galleria/museo?



Dal pensare l’arte contemporanea come attivatore di un territorio, dal fare progetti che mirano a rendere il lavoro degli artisti e degli operatori culturali figure professionali riconosciute e complesse, dal credere la creatività un know-how per il problem solving quotidiano, per vincere l’imbarazzo in ascensore, le previsioni del tempo e il politically correct, come mi disse un amico.

Quali sono le pecche più grandi del sistema dell’arte contemporanea? E come si potrebbero risolvere?



L’autoreferenzialità. Coltivando relazioni interdisciplinari!

Ci fai una sintesi del tuo lavoro?



Creiamo progetti articolati che hanno ricadute sul territorio e attivano nuove dinamiche di display, di formazione e di concetto. Cerchiamo i fondi progetto per progetto quasi totalmente da privati attivando una progettazione partecipata.

Se domani ti regalassero la bacchetta magica, cosa faresti?



Un centro di ricerca espanso!




Gianluca d’Incà Levis
Gabls, Belluno



Cosa vuol dire per voi “spazio indipendente”?



Il concetto stesso di indipendenza è troppo spesso inteso secondo una logica contrappositiva, revanscista, di opposizione ad un sistema, più che come un impulso alla costruzione di progetti nuovi ed autonomi. Questo fa sì che taluni spazi cosiddetti indipendenti evidenzino una matrice più ideologica che culturale. In tal modo, indipendenza diventa militanza. Ovvero, talvolta, dipendenza. L’arte, ovviamente, è politica, in quanto riguarda la polis, ma uno spazio indipendente non è un ganglio d’opposizione ideologica. È un luogo d‘azione culturale, artistica, libero, nuovo, vitalizzante: uno spazio di progetto (e invenzione, studio, scienza, poesia). La libertà culturale, ideativa, è tutto. E sta nella visione aperta, propositiva, rinnovativa!

Da quali necessità si sviluppa uno spazio al di fuori delle logiche espositive di galleria/museo?



Il sistema dell’arte ha le proprie regole, strutture, nomenclature, statuti, procedure. Gallerie e musei vanno benissimo, quelli buoni. E servono, altroché. Ma c’è sicuramente spazio – e necessità – per attivare progetti d’altro tipo. Ad esempio, occorrono reti locali, a scala territoriale, che inneschino processi nelle aree periferiche, mettendoli poi a loro volta in rete con altre realtà (indipendenti). E occorrono vivai, cioè sistemi e progetti attraverso cui sia possibile individuare gli artisti promettenti e fornir loro occasioni di crescita culturale ed artistica. Ciò soprattutto nella fase, assai delicata, che viene tra la formazione scolastica e l’inserimento nel mondo “professionistico” dell’arte contemporanea. Dobbiamo fornire rampe di lancio, per uscire dall’atopico interregno della palude post-accademia.

Quali sono le pecche più grandi del sistema dell’arte contemporanea? E come si potrebbero risolvere?



Non siamo molto interessati a risolvere le pecche del sistema, in termini generali. Il sistema-arte di un paese ha a che fare, oltreché con le logiche mercantili, con l’antropologia culturale di quella nazione, con i caratteri dei popoli, con la geografia, la latitudine, la meteorologia, l’alimentazione.
Per risolvere teoricamente questi problemi si scrivono dei saggi analitici e critici sulle prassi artistiche e culturali: cioè si predica. Oppure si attivano dei progetti sani che generino nuove logiche.

Ci fai una sintesi del vostro lavoro?



A me interessano i progetti di rete. L’approccio critico alla realtà (e quindi all’arte). Si individua un progetto, si costruisce la piattaforma logistica, poi si attiva quella culturale. La piattaforma logistica vuol dire, ad esempio, individuare spazi nuovi, imprevisti, da attivare attraverso progetti inediti. Poi bisogna creare la macchina organizzativa che sostenga la cosa e reperire i fondi necessari. Come si trovano i fondi? Semplicemente presentando a soggetti potenzialmente sensibili un progetto sensato, rispetto ad un’idea, ad un territorio. I buoni progetti hanno un buon indice di fattibilità: possono esser artistici o culturali fin che si vuole (o, fin che se ne è capaci), ma devono funzionare pragmaticamente. Nel nostro caso L’Amministrazione e gli Enti pubblici e gli sponsor privati sono i soggetti fondamentali per il sostegno.

Se domani ti regalassero la bacchetta magica, cosa faresti?



Domani non avremo la bacchetta magica. Se ce l’avessimo, forse non sarebbe bene affidarvisi. Meglio darsi da fare con le idee concrete. Le magie vengono dall’attenzione. Alé!




Riccardo Caldura
Galleria Contemporaneo, Mestre, Venezia



Cosa vuol dire per te “spazio indipendente”?



Non rendere conto ad altri se non agli artisti e agli operatori che coinvolgi dei progetti che vieni elaborando. Uno spazio indipendente non è determinato dalla fonte del finanziamento (privato o pubblico che sia), quanto piuttosto dalla salvaguardia della possibilità di poter agire in chiave propositiva, sperimentale. Cioè strettamente legata alla dinamiche interne del progetto culturale grazie al quale quello stesso spazio può caratterizzarsi.

Da quali necessità si sviluppa uno spazio al di fuori delle logiche espositive galleria/museo?



Dal bisogno di uscire dalla rigidità di quelle strutture e dalle attese che creano. Obiettivi? Una integrazione fra ricerca artistica e contesto nel quale si opera. È necessario cioè cercare il proprio pubblico, favorendo le occasioni di incontro e di reciproca riconoscibilità. Viene poi da chiedersi se in fondo non si tratti che di una prefigurazione di una comunità possibile, fluida, da nient’altro tenuta insieme se non da una condivisione – anche solo temporanea – di intenti, da una medesima lunghezza d’onda del sentire.

Quali sono le pecche più grandi del sistema dell’arte contemporanea? E come si potrebbero risolvere?



Forse il pretendere di essere sistema? Oppure non saperlo essere abbastanza! Risoluzioni: fregarsene dei vizi e delle imperfezioni, fare quel che si sente giusto innanzitutto per se stessi. E poi vietarsi con ogni mezzo, e senza la benché minima intenzione polemica verso le persone, di rivolgersi alla figura autorevole di turno immaginando di avere ‘garantita’ un po’ di visibilità…

Ci fai una sintesi del tuo lavoro?



Pensare, guardare, stendere qualche appunto, leggere, aspettare che le cose vengano con un minimo di grazia, non forzare (tanto non serve), non preoccuparsi dei fondi. Se questi diventano una preoccupazione meglio rinunciare. E chiedersi se vale veramente la pena di compiere tutti gli sforzi che si fanno…

Se domani ti regalassero la bacchetta magica, cosa faresti?



Sicuramente non la sprecherei per il lavoro, in questo o in altri settori!




Helena, Namsal, James
GUMstudio, Carrara



Cosa vuol dire per voi “spazio indipendente”?



GUMstudio nasce dalla volontà di creare una realtà sperimentale e indipendente, uno spazio gestito da artisti per gli artisti. Essere indipendente é una condizione concettuale in cui avviene il tentativo di superare schemi imposti, tentando di registrare nella sua “temporaneità” la contemporaneità.

Da quali necessità si sviluppa uno spazio al di fuori delle logiche espositive di galleria/museo?



Siamo individui uniti dalla consapevolezza e dalla volontà di avere un ruolo attivo all’interno del cosiddetto “sistema”. Avvertiamo la necessità di materializzare nel concreto una propria visione del contemporaneo. Il potere di essere liberi, spinti da un idea in continuo mutamento.

Quali sono le pecche più grandi del sistema dell’arte contemporanea? E come si potrebbero risolvere?



Le pecche dell’arte oggi sono le stesse di ogni altro aspetto della società contemporanea… Vedi ad esempio la mancanza di una reale conoscenza diffusa… Anziché risolverle, possiamo tentare di creare una alternativa!

Ci fate una sintesi del vostro lavoro?



GUM studio é un luogo dove invitare artisti lontani tra loro per esperienze, formazione, luogo d’origine. Sono però artisti portatori del proprio tempo, consapevoli del proprio ruolo. Molto del lavoro è stato seguire gli artisti invitati durante tutte le fasi di progettazione e realizzazione. Siamo rimasti sorpresi nell’osservare come ognuno di loro si sia cimentato con lo spazio, con il territorio e un pubblico spesso difficile. Si sono sviluppate così intense dinamiche di apprendimento e di reciproco scambio. Le attività sono finanziate per la maggior parte dai tre soci fondatori. Nel passato in rare occasioni da sponsorizzazioni private.

Se domani vi regalassero la bacchetta magica, cosa fareste?



Venite a trovarci e ve lo diciamo!




Laura Santamaria
Mars-Milan Artist Run Space, Milano



Cosa vuol dire per te “spazio indipendente”?



Spazio indipendente vuol dire “pensiero indipendente”, incondizionato. Spesso manifestazione di comuni necessità, di fisiologica nascita di libertà errante che trova un ambito in cui si possano concentrare slanci comuni, idee a confronto e molteplici identità.

Da quali necessità si sviluppa uno spazio al di fuori delle logiche espositive di galleria/museo?



Mars è uno spazio no profit gestito da artisti, descrivibile quasi come un garage. La forza concentrata in questo luogo deriva dalle persone che in esso portano progetti, opere, pensieri, armonie e contrasti. Un ventre in cui abitano acidi, sostanze, nutrimento, processi che generano energie, che portano dialogo e spezzano il rigore.
Gli artisti si misurano con questo spazio anomalo, compatto ed irregolare, in un cortile di un quartiere popolare, esponendo le loro opere ad un dialogo diretto, senza alcuna limitazione nella ricerca. Lorenza Boisi ha dato vita a questo luogo, con la collaborazione di un nucleo iniziale di artisti, tra cui Antonio Barletta che è l’attuale direttore eletto. Allo stato attuale sono circa sessanta gli artisti compresi in un fitto calendario di tre stagioni espositive, senza nessuna linea curatoriale e con la formula dell’application form annuale dove è possibile proporre il proprio portfolio. Il nome Mars lo identifica perfettamente, perché oltre ad essere un “run space”, quindi fluido di studi e ricerche in corso d’opera, è un luogo rosso, vivo, votato all’energia attiva ed al calore.

Quali sono le pecche più grandi del sistema dell’arte contemporanea? E come si potrebbero risolvere?



Sono incapace di trovarne una soluzione. Mi sembra fondamentale riconoscere il valore della ricerca. Il sostegno della ricerca. Della ricerca pura. Mi sembra prioritaria la necessità di collaborare per un dialogo esteso e maturo, verso nuovi contenuti di pensiero quale risultato della ricerca e delle sue scoperte condivise. Lo stato di necessità attuale credo sia un buon agente affinché questo avvenga. Fondamentali la creatività e la trasparenza impiegate anche nella conduzione di progetti artistici, che vincano il limite delle logiche politiche, “carrieristiche”, del mercato. Emancipandosi rispetto alle ambizioni e agli interessi individuali, che frammentano e separano, generando caos ed inquinamento.

Ci fai una sintesi del tuo lavoro?



Sono un’artista indipendente e sostengo autonomamente la mia ricerca. Ad oggi, salvo eccezioni, i fondi con i quali realizzo le mie opere sono il risultato di lavori svolti in altri ambiti professionali. Con la mia ricerca sostengo altre realtà ad esempio ho aderito a due Mars Boxedition, contenitori in cui gli artisti sono invitati a depositare sulla superficie di un foglio la traccia del loro lavoro; è il modo in cui Mars sta raccogliendo fondi per portare avanti i nuovi progetti, ed al contempo dando il via ad una forma di collezionismo alla portata di tutti con un prezzo modico a cui più persone possano accedere. Cars che è l’estensione delle attività di Mars, ed offre la possibilità di due residenze per artisti all’anno, workshop, e si avvale del supporto di un mecenate.

Se domani ti regalassero la bacchetta magica, cosa faresti?



Tante cose per la Natura. Tante cose per la conservazione e protezione del patrimonio artistico. Ma non dimenticherei di dare una pensione, un sindacato, uno stipendio, delle sovvenzioni statali e quant’altro necessario per abilitare e rendere tutelata l’identità professionale degli artisti in Italia e della ricerca da noi portata avanti.




Silvia Conta
UpLoad Art Project, Trento



Cosa vuol dire per te “spazio indipendente”?



È un luogo indipendente dalle logiche di mercato e di potere che troppo spesso condizionano il sistema italiano, e riducono la creatività dell’artista e la libertà del curatore a speculazione commercializzabile, anziché a speculazione intellettuale, come dovrebbe essere.

Da quali necessità si sviluppa uno spazio al di fuori delle logiche espositive di galleria/museo?



Lo scopo è quello di dare spazio ad artisti, ricerche e modalità curatoriali che non trovano spazio in altri ambiti. Significa quindi libertà di credere in progetti, opere, artisti, collaborazioni con il solo fine di portare avanti la ricerca nell’ambito del contemporaneo, di sperimentare in modo libero da condizionamenti. Si creano occasioni di incontro, provando a vedere se qualcosa può funzionare, ma restando aperti anche a possibili fallimenti. Si deve mirare cioè a partecipare attivamente al più ampio dibattito del contemporaneo a livello non solo nazionale, senza l’ansia di dover realizzare un prodotto, che può essere un’opera, una mostra, eccetera…

Quali sono le pecche più grandi del sistema dell’arte contemporanea? E come si potrebbero risolvere?



Come ogni sistema che coinvolge milioni di persone ha molti limiti, ma già il fatto che l’arte contemporanea abbia un sistema nazionale e internazionale è un segno importante. È un sistema che continua ad autorigenerarsi, poiché è complesso, “nuovissimo” e “in diretta”: ciò lo rende più imprevedibile, rischioso, nebuloso. Questi, però, sono anche – in teoria – i suoi vantaggi.
La grande indeterminatezza genera una forte necessità di stabilità in molti operatori del sistema, che sono così alla ricerca di punti fermi e spesso preferiscono limitare i rischi, soprattutto in un momento di crisi come questo. Il lavoro di quelle istituzioni (in prevalenza straniere) e quelli operatori che, a vario livello, hanno più intuito e più coraggio è la vera ancora di salvezza del sistema. Lo sappiamo benissimo: la necessità principale è il denaro per poter sostenere artisti e progetti in modo adeguato, ma questo non è certo elemento sufficiente. Ci vogliono infatti operatori lungimiranti e competenti, buoni artisti e tanto coraggio – non per stupire, scioccare o creare i vari “casi” – ma per sostenere il percorso vitale della creazione artistica e del dibattito che dovrebbe portare on sé.

Ci fai una sintesi del vostro lavoro?



Il nostro progetto nasce dalla volontà di Paola Stelzer, un’imprenditrice trentina che mette a disposizione spazi e fondi. UpLoad Art Project rappresenta la costola dedicata all’arte contemporanea di J. Futura Orchestra, un’orchestra giovanile che Paola ha fondato nel 2006. Essere al riparo dalla necessità di reperire costantemente fondi per l’affitto e allo stesso tempo avere oltre 150 metri quadrati nel centro storico di Trento rappresenta un vantaggio non indifferente. Il nostro lavoro si basa su un programma di residenze, mostre collettive e personali. Siamo tre curatori: Silvia Conta, Federico Mazzonelli e Julia Trolp, il che consente un apporto molto dinamico di idee. Cerchiamo di coinvolgere artisti italiani e stranieri, sia alle prime esperienze che più navigati. Inoltre abbiamo già sperimentato aperture verso la musica e il design.

Se domani ti regalassero la bacchetta magica, cosa faresti?



Rimuoverei dal sistema italiano certi meccanismi molto italiani e darei un sostegno reale a tutta quella schiera di operatori e artisti della parte più genuina del sistema. Una bacchetta magica per aiutare tutti coloro che portano avanti idee, progetti e ambizioni visionarie con grandi sforzi e sacrifici personali, a spese proprie, lavorando di notte spesso dopo il lavoro ufficiale per portare a casa pranzo, cena e affitto. Gente che lavora da casa in pigiama tutto il week end, sepolta da cataloghi o che si fa l’Italia avanti indietro con i treni regionali per vedere, incontrare, partecipare, cercare e creare possibilità. Quell’enorme quantità di persone che rappresentano la volontà dell’arte di andare avanti va davvero sostenuta!