Categoria: arte

Abbado+Mahler=Beuys

“Rock and Roll Stops the Traffic” scriveva con lo spray – ai tempi di Rattle and Hum – Bono degli U2. Ma che vadano a farsi fottere lui e tutta la gracchiante mitologia rockettara a buon mercato. Molto meglio Abbado e Mahler. Che qualcosa di buono, in una città (tra l’altro proprio Milano), lo fanno veramente.Il grande direttore d’orchestra ha infatti chiesto ed ottenuto, come suo cachet per i concerti con l’Orchestra della Scala, che l’amministrazione comunale meneghina piantasse degli alberi nel centro della città. Ne ha chiesti novantamila (cifra di dimensioni bibliche), per il momento saranno solo un centinaio, secondo quanto anticipato da Repubblica in un’intervista. Ovviamente la speranza è che l’iniziativa continui, oltre l’effetto annuncio, come è capitato a Kassel con le 7000 Eichen di Beuys.Personalmente non nutro grandi aspettative dagli amministratori pubblici milanesi, ma il Mahler di Abbado potrebbe fare miracoli.

Art(bell)issima e i culi in più

Non c’è che dire, quest’edizione di Artissima rasenta l’eccellenza. Gallerie di ricerca, ma soprattutto opere davvero significative, che sono poi il fattore discriminante. Ma anche il taglio curatoriale dato è ancora più affilato: sono poche le gallerie che lavorano con artisti già ampiamente storicizzati e molte invece quelle che presentano la punta estrema del contemporaneo (sarei curioso di sapere la media dell’età degli artisti). La città poi offre iniziative a raffica, con la grande novità della collaborazione con i teatri, oltre a quelle delle fondazioni e dei musei.Un’Artissima però che è sempre più istituzionale, più festival, e quindi sempre meno fiera. Le parole del direttore Bellini – ma anche dei soggetti politici, istituzionali e del mondo del credito presenti alla conferenza stampa – hanno sottolineato proprio la volontà di farne un evento culturale, di promozione del territorio. E il mercato ci chiediamo? Chissenefrega! Pagano gli sponsor e il settore pubblico…Una nota stonata e di cattivo gusto? Che ci fanno le ragazze discinte che portano in giro volantini per i padiglioni? Non siamo mica a Palazzo Grazioli!

La fiera -issima

Artissima è la fiera figa del Bel Paese, quella forse in cui si va per vedere più che per comprare (per i collezionisti), o forse per esserci (per i galleristi italiani, vista pure la grande quantità di soggetti istituzionali presenti nel territorio). Talvolta si ha sensazione che questo sia il salotto buono in cui si vede il meglio che c’è da noi. Ma non è così, o quanto meno non in tutto.Troppa della pittura italiana, quella buona e con un tasso di innovazione rilevante – per capirci non quella marchettara che era al Padiglione Italia – è stata esclusa dalle precedenti edizioni, a favore di una tendenza neo-concettuale forse più chic. Giovedì vedremo se sarà ancora così. Per il resto, tra iniziative off ed una città che reagisce meravigliosamente, sarà un successo.

Fiumi di parole (tra noi)

Mostra collettiva con 12 artisti, ciascuno con un curatore. Testo per ciascuno artista 2mila parole. Vanno bene anche 12mila battute spazi esclusi: troppe.
Ho cercato di oppormi: francamente mi pare una dimensione leviatanica, tale da scoraggiare anche un lettore motivato. Chi legge infatti i testi dei cataloghi, tanto più se hanno una lunghezza a dir poco vessatoria? Non sembra la lunghezza coincide con maggior lucidità, e poi bisogna sapere dire le cose senza rubare il tempo alla gente, no?
Il responsabile del progetto è inflessibile: dovrò allungare (il che mi mette nella condizione di essere un curatore a cottimo, wow!), un po’ come il cuoco allunga il brodo. Dispiace però che quel testo non sarà un punto a favore dell’artista.
Che fiumi di parole…

I sassolini di Angela Vettese (e le pagliuzze che è meglio non vedere)

Domenicale del Sole dell’11 ottobre. Angela Vettese scrive un pezzo – come sempre molto acuto – per la riapertura della Galleria Civica di Trento. Non manca di manifestare fiducia nel nuovo direttore Viliani, ma non si esime di dare una bordata ad Eccher, “spazzolato via dal Macro di Roma venti minuti dopo l’elezione del sindaco”, e che, a sentire la critica, “celebra se stesso appena torna” (si riferisce alla mostra che ripercorre la storia dell’istituzione di cui Eccher fu il primo timoniere). A questo punto avrebbe potuto anche continuare e dire che forse non è etico essere nel contempo presidente di una fondazione a partecipazione pubblica (a Trento) e direttore di una galleria anch’essa pubblica (a Torino). Ci dispiace ma questo però la Vettese non lo ha detto.
Forse, lei che ad esempio nell’ultimo anno – solo a Venezia – è stata direttrice del Corso di Arti Visive, giurata della Biennale, presidente della Fondazione Bevilacqua La Masa, membro del Comitato scientifico di Palazzo Grassi-Punta della Dogana, sapeva che di conflitto di interessi era meglio non parlare…

Quando l’arte presta il fianco a Beatrice & co.

Se non pensate che in Italia ci sia un rigurgito passatista (antiregressivo? fascista?) nel campo dell’arte contemporanea, forse vi siete persi qualche passaggio. O siete tra quelli che invece, per interessi diretto o per la cura del proprio giardinetto, fingono di non vedere. Perché c’è in atto un vero e proprio attacco populista e di cattivo gusto, oltre che di grande malafede, a chi pratica un’arte che, con differenti sfumature, è ascrivibile alla galassia concettuale.
L’ultimo spunto viene da un articolo per il Giornale di Luca Beatrice, scritto in seguito all’incidente accaduto alla scultura che Lara Favaretto presenterà in occasione della mostra inaugurale della nuova Galleria Civica di Trento. L’accusa è ovvia e non estranea al buon senso: costa un sacco di soldi. Beatrice prosegue nel dire che bisogna essere molto parchi quando si lavora con i soldi pubblici – impossibile non essere d’accordo – e poi spiega che con i 50mila euro spesi per l’opera della Favaretto (altri 110mila li mettono i provati) è possibile fare una mostra intera. Ovviamente dipende dai criteri di opportunità: per lui quell’opera non li vale, per il curatore della mostra sì.
Ma è qui che il curatore del nostro ultimo Padiglione lagunare deraglia buttandola in politica. Tanti dei curatori di sinistra – dice in sostanza – si piccano e si vantano di proporre opere problematico-fighette che il pubblico non capisce. E se qualcuno osa criticare “è semplicemente un cretino o peggio, un reazionario, espressione dell’incultura greve della destra”. E poi continua: “da quando l’arte contemporanea ha avuto la pretesa di dialogare con lo spazio, uscendo dal comodo rifugio delle gallerie e dei musei, i guai si sono moltiplicati all’ennesima potenza”.
Ha ragione Beatrice. Molta della pittura che lui ha proposto (anche alla Biennale, in maniera quasi vergognosa poiché non rappresenta lo stato della nostra ricerca) ha il vantaggio di non rompere le palle con inutili ambizioni di pensiero e si limita a decorare le pareti delle case. Con l’arte si diano risposte al pubblico, magari a senso unico, e non si facciano domande da sapientini di sinistra. È da un po’ che lo sta ripetendo, anche con la benedizione del ministro Bondi.
Una cosa però mi sta a cuore. Curatori e critici che non la pensate come Beatrice: siate intellettualmente ambiziosi, ma centellinate ogni euro del vostro budget senza farvi prendere la mano. Combattete e siate moralmente inattaccabili. Bisogna evitare di prestare ancora la schiena a quelli che odiano l’arte che pone problemi e domande. A coloro che sostanzialmente hanno teorizzato la figura del curatore-puttana ma si sono ora miracolosamente riverginati da fustigatori del costume.

Il Pomodoro di Briatore ed il suo gusto

Ho letto un bel pezzo sull’ultimo Venerdì di Repubblica, firmato da Gianni Barbacetto, che racconta l’avventurosa vicenda di Flavio Briatore (anche dal punto di vista dei rapporti con la giustizia e delle sue frequentazioni di persone di ambienti non certo raccomandabili). Ma la cosa che mi ha colpito di più – e che ho appreso con un certo sconcerto – è che Briatore è considerato urbi et orbi un arbiter elegantiarum. D’altro canto sono note le sue amicizie nel settore della moda e del lusso. La sua immagine è quindi quella del ricco dal gusto raffinato e seducente, del “mannaggia a lui magari ce lo potessimo permettere pure noi!”
A conferma di questo c’era un’immagine del trendyssimo Flavio nazionale, in una delle sue dorate magioni in stile impero in uno dei quartieri cool di una delle città più glamour del mondo, con una bella palla sul tavolino. Fantastica, sarà tutta d’oro. Una di quelle opere di cui parla Bonami (a dir il vero facendo casino, ma almeno ci si diverte) nel suo Lo potevo fare anch’io.
Che il Bria sia un ennesimo Trimalcione? Personalmente non ho dubbi.

Contro l'immobilità del Bene Culturale

Si può a discutere a lungo su quale definizione dare al Bene Culturale. Ce ne sono svariate, ognuna con una sfumatura che permette di sottolineare un aspetto o un punto di vista particolare. La cosa che più mi sta a cuore è però una concezione arcaicamente antieconomica che sembra abitare il nostro Paese: il fatto cioè, che essendo bene “supremo” sia in qualche modo indisponibile a fruttare e vada solo difeso o protetto. Mi spiego meglio.
Se ho un magnifico cratere a figure rosse del III sec.a.C. che non riesco ad esporre o non ho la forza per informare le persone che c’è e che merita di essere visto, è meglio che lo affidi (con tutte le garanzie del caso) ad un museo estero che riesce a farne una meta turistica. A chi giova avere i musei vuoti e le opere indisponibili?
Nonostante le tante contestazioni, hanno infatti fatto bene i responsabili del Louvre a prestare alcune delle loro opere ai pacchiani arabi mediorientali. Oppure continuiamo a sprecarlo il nostro oro, come raccontava il bel servizio di Rai 3 di domenica scorsa?
Qui non ci arriveremo mai. Troppi sacrari da abbattere, una cultura passatista e antimanageriale da prendere a martellate. Mentre continuano a languire tesori nei nostri forzieri…