Categoria: arte

Blu über Alles

Del Muro che ha diviso la città per troppi anni, a Berlino non sono rimasti che un paio di chilometri, divisi in due o tre tratti significativi. Il più lungo di questi è diventato la East Side Gallery, luogo in cui si sono sbizzarriti numerosi graffitari con un progetto appositamente dedicato, messo a punto da una comunità di artisti: è cioè una sorta di galleria a cielo aperto. La qualità è spesso mediocre, ma d’altro canto si sa che gli streetartisti veri non amano molto le situazioni istituzionalizzate.
Da quella sponda del fiume dove è rimasto il Muro si vede invece un lavoro eccezionale, guardando il ponte della ferrovia. Lo stile è inconfondibile: a realizzarlo è stato Blu. I più attenti lo hanno visto per le strade italiane e di tutto il mondo. Un regalo per gli occhi, inaspettato. Questo è poi, in definitiva, uno delle cose più belle della street

Abbracciamoci

Ieri pomeriggio i Gao Brothers hanno invitato le persone che abitano o che passano per Hong Kong a ritrovarsi di fronte all’Arts Centre per abbracciarsi. Un’azione civile, liberatoria, intelligente (forse non nuova ma cosa ce ne importa?), per esprimere silenziosamente un po’ di quel dissenso che la Cina ed il suo governo fanno finta di non vedere. Vorrei esserci stato, per abbracciare a caso qualcuno qualcuno con gli occhi a mandorla che la pensa come me.

Certo niente di tutto ciò cambierà il mondo. La storia, come diceva il buon Carletto Marx, si fa sull’economia. Tutto il resto serve a sognare. Ogni tanto però è bello chiudere gli occhi…

Una vittima della crisi

In un laconico comunicato stampa inviato qualche ora fa, la Fondazione Musei Civici di Venezia ha reso noto che, dopo il dietrofront della Regione Veneto a sostenere la mostra che avrebbe dovuto celebrare i cento anni dal Manifesto Futurista (i soldi sembra siano destinati agli indennizzi per gli straordinari fenomeni meteorologici del mese di luglio), l’istituzione lagunare “pur rammaricandosi dell’opportunità perduta, del lavoro scientifico e organizzativo vanificato e del danno culturale ed economico per la città, ritiene di non potersi assumere interamente i rischi di un’impresa di portata internazionale”. Detto in soldoni: non possiamo permettercelo.
Insomma, checché ne dica il Cavaliere coi tacchi a spillo, la crisi c’è e le mostre vengono segate perché i fondi agli enti locali scarseggiano. Ma è veramente un’occasione mancata o alla fine è meglio così? Capisco l’aspetto turistico e l’impegno ed il lavoro delle persone. Ma a livello di opportunità ci serviva un ennesimo mostra sul Futurismo? O piuttosto bisognava evitare di fare le cento iniziative espositive sul movimento – una per ogni campanile – che si sono registrate in tutto il nostro territorio nell’ultimo anno? Quanti soldi sprecati per una mancanza di coordinazione a livello nazionale, quando bastavo un paio di mostre valore! Ricordate ad esempio Futurismo & Futurismi curata da Pontus Hulten a Palazzo Grassi?
Come girano le mie balle plastiche

Bei progetti & pugnette

Padiglione australiano, l’artista è Shaun Gladwell. Il suo progetto (qui si può scaricare la brouchure), annunciato dai visitatori già dall’esterno da una moto nera conficcata nelle pareti e da una potente automobile fuoristrada, è meraviglioso. Video che si srotolano con una naturalezza nel paesaggio desertico. La sua presenza che fa da contrappunto poetico, sia nella ricerca di libertà quando sopra l’auto spalanca le braccia al cielo, che nella danza rituale con cui fa attraversare la strada ai canguri investiti dai tir, realizzando l’ultima volontà dell’animale volante. E poi tutto, senza essere patinato, è veramente figo e sviluppato con un linguaggio al passo coi tempi. Chapeau.
Che tristezza se penso che noi italiani, nel nostro padiglione, intanto continuiamo pretestuosamente a farci le pugnette sul Futurismo…

Il leone avaro

Il negozio dell’Olivetti di Piazza San Marco, progettato da Carlo Scarpa alla fine degli Anni Cinquanta tornerà allo stato originale. Quella perla, di proprietà delle Assicurazioni Generali, era infatti data in affitto dalle stesse ricchissime assicurazioni ad uno squallido venditore di vere cazzabubbole di Murano, che tra l’altro lo aveva adattato alle proprie esigenze. Ma si sa, i soldi della pigione non dispiacciono a nessuno, figurarsi al Leone di Trieste gnam gnam. E poi, chissenefrega se la bellezza e la qualità architettonica!
Ora il locale è stato dato alla cura del FAI, in comodato gratuito. È già buono, ok. Ma perché no una donazione? Non sia mai che il panciuto Leone condivida il suo pranzetto…

Paura di chiudere

Sto curando una mostra, assieme ad una cara amica. Una di quelle vecchie maniera fatte a partire da alcune idee, e in cui un punto vista, una visione, un concetti, vengono corroborati e testimoniati dal lavoro di alcuni artisti. È sostanzialmente una prova di natura intellettuale, quanto meno fino a quando le difficoltà pratiche ti impongono di soprassedere ad ogni velleità perché è necessario chiudere sul concept e lavorare su logistica, allestimento e tutto il resto.
Non sai mai quando chiudere veramente, però. Se l’ultima propaggine di idea sia l’intuizione che mancava o la cazzata da evitare. Non sai mai se realmente si finisce di chiudere, nel senso che spesso, sulle stesse idee, si fanno più mostre. Si sa, i curatori, difficilmente autoironici, si prendono molto sul serio. Aiuto.

artistar

Il giorno dell’inaugurazione del Padiglione inglese Steve McQueen era attorniato da un folla di giornalisti, fotografi e cineoperatori. Una massa vociante che strideva contro la faccia seriosa da intellettuale di colore incazzato e look alla Spyke Lee dell’artista chiamato a rappresentare il Regno Unito. Non so cosa abbia pensato McQueen, ma di sicuro ha ricevuto lo stesso trattamento riservato ad una star. E infatti, solo per prenotare la visita – e non per vedere – c’era la coda. D’altronde i sudditi della Regina, assieme ai cugini Americani, sono abituati a fare le code per le grandi occasione mediatiche (e commerciali), dall’uscita del nuovo Ipod o di Harry Potter al concerto dell’idolo di turno: una umanità in fila.
Sensazione finale? Sentirsi ridicoli, tanto più perché, dopo averlo visto, il progetto non convince. E pare che abbiano proprio voluto costruire un evento piuttosto che badare alla sostanza.
C’era una grande coda anche nel 2001 per Schneider era tutta altra cosa…
Fanculo l’artistar!

Venti euri a Pinault

Venti euri. È questo che si paga per vedere la magnifica collezione di arte contemporanea di François Pinault nelle due sedi veneziane di Palazzo Grassi e della meravigliosa Punta della Dogana. E per fortuna che musealmente la città sarebbe sguarnitissima sul contemporaneo, se si eccettua il Guggenheim, e le mostre temporanee.
Eppure quella cifra pare troppo elevata. Troppo elevata per i visitatori che a Venezia vengono continuamente seviziati e taglieggiati (il traghetto costa come un taxi, un’aranciata come un bicchiere di Barolo), troppo elevata per le benedizioni di Cacciari che ha smesso di fare l’intellettuale di sinistra e ha incominciato a fare invece il sindaco che fa i conti con la realtà, scordandosi che Monsieur Pinault, più di un mecenate, è un lucidissimo imprenditore.
Vabbeh, intanto paghiamo, la bellezzaa costa. Ma qualche euro in meno si poteva fare, no?