Categoria: arte

La polvere di Artefiera

C’era meno gente del solito ad Artefiera il giovedì dell’inaugurazione. Meno ressa del solito, il che non è necessariamente negativo. Meglio un pubblico più contenuto, ma attento e con in tasca buone intenzioni, che un’orda di barbari presenti solo per farsi vedere e fare il defilé.
Anche il venerdì è stato tranquillo, con poca gente – ma dove sono le scolaresche degli anni scorsi? – e più di qualcuno scontento, mentre altri hanno venduto. Ho visto anche uno stand con quasi tutti i lavori bollati (Atlantica, che ha presentato un solo show dell’interessante Andro Semeiko) che speriamo sia di buon auspicio per le altre gallerie. E comunque il sabato e la domenica i giochi posso davvero cambiare e prendere una buona piega.
Di certo c’è di sicuro l’aria secca e piena di polvere che rovina occhi e rende la gola come la carta vetrato. Non possiamo augurarci comunque che, per le gallerie ed artisti, sia polvere di stelle.

 

Morbin, Berlusconi e il fascismo che c’è in Me

Mesi fa ho assistito ad una performance di Giovanni Morbin in cui l’artista vicentino gira su se stesso seduto su di uno sgabello (opportunamente dotato di maniglie e di motore elettrico) mentre tenta di pronunciare la dichiarazione di guerra di Mussolini del 10 giugno 1940. Vestito di nero, con l’enfasi e la retorica del Duce, attacca con il celeberrimo “Combattenti di terra, di mare, e dell’aria!”. La velocità di rotazione lo mette però in difficoltà e quando Morbin cerca di mettersi in piedi, scendendo dallo sgabello, finisce per cadere a terra. A quel punto l’artista si risiede e ricomincia da capo con il discorso fino ad una nuova caduta. L’azione si ripete svariate volte, fino a quando egli riesce a correre verso una parete per tracciare con del gesso la “M” di Mussolini ed una piccola “e”. Me è appunto il titolo della performance, in cui l’artista in movimento evoca il bronzeo Profilo continuo (Testa di Mussolini) di Renato Bertelli, opera che è opportunamente presente nel luogo su di un piedistallo.
E’ un lavoro intenso e sinceramente politico, non tanto su quella che è l’eredità del Ventennio, ma su quelle cause antropologiche che lo hanno prodotto, e che certo non sono state estirpate fino alle radici da cinquant’anni di democrazia. Anzi, dalla fine degli Anni Settanta, i tuberi del fascismo sono stati sapientemente innaffiati senza dare nell’occhio, come dimostrano ormai senza pudore i politici per l’arroganza e la cialtroneria, le persone comuni per l’ignoranza e un po’ tutti per la volgarità.
Mi fa paura pensare che abitino nel mio corpo e attorno a me i germi del fascismo, delle braci mai sopite che parevano cenere. Benché critico e fieramente in opposizione a questo fetido ritorno, ad un fascismo nascosto ma dilagante, ho paura di tutti gli anni di feccia berlusconiana che ho succhiato inconsapevolmente sin dalla mia infanzia. E non so se la bellezza ci salverà.

Provaci ancora Hirst

Svariati quotidiani italiani hanno rilanciato la notizia, uscita sui giornali inglesi, circa la mostra che inaugurerà la sede di Hong Kong di Gagosian, la multinazionale del contemporaneo per collezionisti facoltosi e lussuosamente trendy. Protagonista della mostra sarà Damien Hirst, del quale sarà esposto anche For Heaven’s Sake, ottocentesco cranietto di bambino tempestato di diamanti. Le notizie precisano che l’opera, realizzata su un autentico cranio comprato ad un’asta dall’artista inglese, è del 2008.
Tutta l’operazione però sembra ricalcare – se ce ne fosse ancora bisogno – il medesimo gioco messo a punto per For the Love of God, il primo esempio di impianto di pietre su scheletro che tanto ha fatto parlare di sé. Lo schema è sempre lo stesso: fare scandalo senza contenuti, o, meglio, fregandosene dei contenuti. Perché di sicuro Hirst non è uno sprovveduto e nemmeno un improvvisato, solo che ha deciso di tirare a campare facendo il divo e forse un po’ troppo lo strafottente.
Certo che però il riciclo di idee sta bene nel campo della sostenibilità e dell’ambiente, non certo in quello artistico, tanto più tra coloro che si atteggiano a épater le bourgeois. Mammia che noia. Provaci ancora Diamine Hirst!

La Kodachrome va in pensione. Ma il vintage trionfa…

Quotidiani e siti web hanno raccontato nei giorni di fine anno del laboratorio statunitense che ha sviluppato gli ultimi rulli di Kodachrome. Pochi lo hanno detto, ma la pellicola è di genere invertibile, produce cioè un immagine positiva (con gli stessi colori del soggetto fotografato), che viene utilizzato per lo più per le diapositive ed è stata in passato utilizzata anche nel cinema. Era cioè un prodotto di nicchia, perlopiù di uso professionale, entrato nella storia ma ormai non più tanto utilizzato come nel passato. Stessa sorte era capitata un paio di anni fa con la Polaroid, mandata in pensione per gli stessi motivi: il mondo è cambiato.
Entrambe sono entrate nella storia del costume, ma ciononostante non sono mancati gli appunti dei nostalgici (come questo su La Stampa) che, nel campo delle tecnologie novecentesche, abbondano. Se il vintage tecnologico è diventato un mania curiosa – ciascuno ha il diritto di dilettarsi come vuole – trovo davvero incomprensibile che vi siano persone che possano rimpiangere i complicati ed incasinati dispositivi del secolo scorso low fi, misteriosi portatori di non so quale fascino o autenticità.
E comunque sono sicuro che molti di questi trendissimi passatisti da estetica vintage hanno la pagina Facebook o hanno comprato il loro oggettino su Ebay. Alla faccia del meraviglioso passato.

L’Ara Pacis con auto, Cranach su internet

La crisi economica morde le istituzioni culturali non solo qui da noi, ma in tutta Europa. Ma reagire è possibile: l’unica vera sconfitta di fronte alle difficoltà è l’immobilismo (condizione esasperante che sappiamo caratteristica dell’Italia).
E così mentre, malamente, da noi un soprintendente come Umberto Broccoli affitta la teca dell’Ara Pacis ad un (amico) costruttore di automobili elettriche – causando reazioni a catena dal sindaco della capitale Alemanno all’assessore Croppi che fingono di non sapere – i cugini transalpini ci danno l’ennesima lezione di come sia possibile far fronte alle necessità economiche con una modalità trasparente e che ha il vantaggio di responsabilizzare i cittadini.
La direzione del Louvre infatti, che stava trattando l’acquisto da un privato di un olio di Lucas Cranach il Giovane che rappresenta le Tre Grazie, avendo a disposizione solo 3 dei 4 milioni necessari per l’opera ha aperto una sottoscrizione pubblica con un sito internet che, in poco più di un mese, ha permesso di raccogliere i quattrini che mancavano. Numerosi le adesioni, con cifre ovviamente molto differenti e secondo le tasche, ma circa un quarto dei sottoscrittori ha offerto 50€, come ha anticipato Le Monde.
Ricetta semplice, economicamente democratica perché permette di contribuire in base alla propria condizione, moderna perché usa uno strumento come internet che, una volta in più, si dimostra in grado di sviluppare dinamiche partecipative di grande importanza.
Chapeau. Ci proviamo anche noi?

Letterina di natale di Bondi agli ex compagni


Per una volta mi esprimerò in rima
per raccontare tutta la mia stima
per il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi,
che, pur poeta, alla cultura taglia i fondi.
Dovete sapere che il sommo di buona mattina
ha deciso di scrivere agli ex amici una letterina,
temendo di essere da questi sfiduciato
per il suo ruolo ed il suo felice operato
(parlar di “operato” par forse eccessivo,
considerato che il suo è incarico elusivo:
d’altronde ci siamo accorti, non è una svista,
che lui è stato il ministro più assenteista.
Ma non è facile coordinare il Pidielle
o star dietro a Berlusca che va a pulzelle).
Fatto sta che sull’edizione odierna del Foglio
Bondi ha perso qual che restava del suo orgoglio
scrivendo agli ex compagni comunistoni
perché in Parlamento non facessero i cattivoni:
“Suvvia, cari amici con falce e martello nel cuore,
continuerete a perdere, a ricevere dolore.
Ma fate almeno la buona azione per natale
e votate la fiducia a me, ministro niente male.
Diversamente, non per me un`onta sarebbe
ma per voi villani che la proporrerebbe”
(scusate le sgrammaticature sopraffini
tutta colpa della riforma Gelmini).
Ma caro ministro, non ti vergogni?
Tu che sulla cultura ci fai i tuoi bisogni?
Tu che hai messo Sgarbi alla Biennale
e parenti con posizione ministeriale?

Invito su carta. Ma quanto ci costi?

Oggi la cassetta della posta mi regalava il piacere di ben otto inviti a mostre in gallerie ed istituzioni pubbliche. Il che, evidentemente, fa molto piacere. A differenza di quelli inviati per email (in cui gli aspetti fondamentali sono l’efficienza e la rapidità), gli inviti cartacei hanno un dannato fascino che ancora è inspiegabile, tanto più nell’epoca in cui viviamo, basata sulla telematica, sui mezzi virtuali o inconsistenti. Ma valutiamo l’operazione di invio cartaceo in un momento di tagli disumani alla cultura, il che, una volta di più, fa incazzare.
La spedizione del più grande degli inviti, ad esempio, costa € 1.40 ed è stata fatta dalla Regione Veneto – mi immagino a millecinquecento/duemila persone – come lettera normale (non cioè in modalità di recapito massivo). Il che fa una spesa che oscilla tra 2/3mila. A questi vanno aggiunti i costi di stampa, che è stata fatta in un non certo economico cartoncino.
Gli inviti delle gallerie (eccetto uno a 60 cent) mi sono stati mandati invece con Posta target e costano 31 centesimi, praticamente un inezia a confronto. Se gli inviti della mostra di Finzi fossero stati mandati con Posta target si sarebbero cioè risparmiati circa 1600-2100 euro. Una cifra considerevole, non tanto forse per il budget di questa mostra a Villa Contarini, quanto nel totale di un’amministrazione come la Regione Veneto (provate a chiedere 2mila euro di contributo per una mostra e vedrete cosa vi risponderanno).
Anche valutando la cosa dal punto di vista dell’immagine e del prestigio che si vuol costruire attorno ad un evento, ne vale veramente la pena? Non stiamo buttando all’aria dei quattrini pagando un costo-opportunità troppo elevato?

E se Wikileaks intercettasse il mondo dell’arte italiano?

Da qualche giorno mi chiedo cosa succederebbe se Wikileaks intercettasse il mondo dell’arte del nostro Paese. Ne uscirebbe un casino, ma anche – finalmente – una mappa senza veli delle nostre cattivissime abitudini.
Scopriremmo direttori di museo marchettari e spesso servi di gallerie potenti. Curatori attenti ad anteporre il proprio nome (ed il proprio ego) a quello degli artisti e dell’arte. Politici che raccomandano persone irraccomandabili. Collezionisti che comprano solo in nero. Galleristi incazzati perché non pagati. Artisti vessati da galleristi avidi e curatori insensibili. E poi rivalità stupide, mancanza di collaborazioni e tutto quello che fa della nostra nazione un paese di serie B.
Fin qua niente di nuovo, sono cose che succedono a tutte le latitudini, solo che da noi con frequenza insostenibile. Ma una cosa, forse, emergerebbe più delle altre dal nostro sistema: la totale mancanza di sincerità. Ad ogni livello, tutti a parlar bene di tutti: guai a criticare la mostra, l’artista o il curatore. Le opere o i testi o le mostre sono sempre interessanti o stimolanti; mai belli o brutti, mal riusciti o pretenziosi. O se proprio proprio fanno ribrezzo allora non convincono.
Scopriremmo così con Wikileaks il mare di bugie che si dicono che ci tengono prigionieri in questo continuo bla bla, in cui solo pochi hanno l’intelligenza di dire con sincera onestà quello che pensano. Cosa che ci porterebbe forse un passo più indietro del baratro in cui ci siamo da soli confinati.
Assange, ci pensi tu?