Categoria: arte

Sgarbi: voglio lotto alla Biennale

Ancora parole sulla Biennale, alle molte già dette, da parte del neosoprintendente di Venezia Vittorio Sgarbi nonché commissario dell’italico padiglione. Parola d’ordine mischiare: esporre gli artisti antichi all’Asenale e i nuovi nei musei veneziani. E poi mettere in luce i mille legami tra antico e moderno.
Proposte che non sono male. Vi ricordate il miracolo di Artempo in cui le carte erano magicamente mischiate? Miracolo, appunto, che capita di rado. E comunque peccato che lo scopo della mostra ospitata al padiglione italiano sia – per statuto – ben altro, cioè promuovere e mostrare le ultime ricerche nel campo del nostro Paese. Ma ovviamente Sgarbone avrà carta bianca dall’incompetente Bondi e probabilmente il presidente Baratta non farà tanti casini, per evitare strumentalizzazioni politiche e perdite di poltrone.
Alla fine avremo un sacco di persone che si vedranno il pur stratosferico Lotto col biglietto della Biennale, mentre gli sfigati artisti contemporanei ce li beccheremo in giro per la città. Un po’ come capita ai paesi che il padiglione non ce l’hanno. Ma questa volta, ne siamo sicuri visti i gusti da muffa dello Sgarbone, non se ne accorgerà nessuno.

L’artista deve essere consapevole?

Mi sono sempre chiesto se l’artista debba essere consapevole, e soprattutto quanto debba esserlo, del posto che occupa rispetto a tutto ciò che lo ha preceduto. Ed intendo per questo la consapevolezza dell’essere avanguardia, cioè progresso ed anticipo del futuro; elemento di novità, portatore di quello che potremmo definire – prendendo in prestito l’espressione dal mondo economico – un coefficiente di innovazione. Quanto gli artisti si devono rendere conto di essere una nuova cosa? Non per miopia, ma a ragione?
La mia domanda è forse priva di senso, dato che forse non è nemmeno il loro lavoro capire tutto questo. In fin dei conti quello che si chiede agli artisti è di produrre linguaggio, eventualmente senso, riflessioni e – per quanto mi riguarda – punti di vista che mettano in discussione lo status quo.
La recente intervista a Edoardo Sanguineti uscita su Exibart è in questo senso molto interessante. “Credo che il significato forte delle avanguardie sia in generale quello di avere precisamente dei programmi, che non vuol dire avere dei programmi estetici o non soltanto estetici: vuol dire cercare di radicarli in una visione del mondo e assumerne una responsabilità come intellettuale. Io parto dall’idea che qualunque comunicatore ha un ruolo intellettuale perché comunica una sua visione del mondo.”
E’ un lavoro molto difficile anche per i critici più attenti e allenati. Non è troppo chiedere agli artisti di farlo?

Bonami lo potevo fare anch’io. Forse meglio

Spero che siate stati alle presentazioni dell’ultimo inutilissimo libro di Francesco Bonami Si crede Picasso (vi consiglio francamente di risparmiare i 17 euri del libro). Ne ha fatte un paio in luoghi prestigiosi come Palazzo Grassi a Venezia e il Mart a Rovereto. Bene direte, ci sarà stato da divertirsi: da autentico toscanaccio avrà raccontato un sacco di storie e ne avrà dette di cotte e di crude, tanto più perché davanti a platee del mondo dell’arte e quindi sensibili.
Sbagliato. Una noia mortale: pensieri pochi e pure espressi male: semplicemente imbarazzante. E il libro? Vi ricordate il giudizio di Fantozzi sulla Corazzata Potemkin? Sì, proprio così: una cagata pazzesca. Eppure Bonami ha e ha avuto ruoli di prestigio ed il suo curriculum è assolutamente invidiabile. Spero per lui che nei prossimi anni si limiti a fare belle mostre, perché a parlare e formulare pensieri è un disastro, come sa bene chi l’ha visto contro il parolaio Sgarbi alla Sandretto. Tutto il resto è davvero noia e fuffa.
Che dire? Quanto meno con ABO ci saremmo divertiti a vedere un guitto sul palco.

Liste di opere e di artisti

La lista è un piacere intellettuale vertiginoso, come ricorda Umberto Eco, che al tema ha dedicato un bel progetto a Parigi lo scorso inverno. Ma anche più prosaicamente Leporello in una delle arie più note del Don Giovanni – musicato da Mozart su libretto di Da Ponte – spiega quanto questo sia un piacere sublime, che mette insieme eros e gioco mentale.
Al potere delle liste ci sto pensando da qualche settimana. Sto lavorando a tre mostre collettive, due delle quali a quattro mani con un altro curatore. E’ un lavoro stimolante: stabilite le idee di fondo, le linee guida su cui costruire le esposizioni, stiamo scambiandoci e confrontandoci su liste di opere o artisti.
Si tratta di un lavoro di piccole modifiche, di aggiustamenti successivi. Ci si confronta su punti di vista differenti finché si trova un equilibrio che permetta cioè di soddisfare gli stimoli di entrambi. Poi ovviamente vi saranno altri bilanciamenti, dovuti alla disponibilità degli artisti, agli allestimenti eccetera. In ogni lista si nasconde una micro o macro visione del mondo. Anche quello dell’arte.

Fanculo curatori & co. Il padiglione italiano sarà fatto dagli intellettuali

Vi fareste mai otturare un dente dal carrozziere? Oppure chiamereste mai un giornalista per farvi sistemare la caldaia? Se non amate il rischio non lo fareste mai. E soprattutto difficilmente risolvereste il problema. Però potreste sempre chiamare un intellettuale.
È quello che farà lo Sgarbone nazionale per il nostro padiglione: il commissario Vittorio ha infatti spiegato, in un’intervista concessa al Piccolo di Trieste, che chiamerà intellettuali – come Claudio Magris, Alberto Arbasino, Umberto Eco, Paulo Coelho, Dominique Fernández – a scegliere gli artisti rappresentativi del nostro Paese. D’altronde i critici e i curatori lui li odia, poiché sono “dei narcisi pezzi di merda che pensano di averlo più lungo degli altri” (me lo ha dichiarato di persona il giorno dell’apertura del Maxxi).
Ha ragione. C’è gente che si fa il culo per quattro lire, che cerca di indagare nuovi linguaggi e crede nella sperimentazione: ma sono semplicemente “dei pezzi di merda”. Vuoi mettere le competenze in arte contemporanea di cinque – per l’amor del cielo eccelsi nella loro disciplina – vecchi, età media 75 anni? Degli autentici pezzi di Novecento?
Che vergogna. L’unico aspetto positivo è che la solita cricca mangerà un po’ meno.

Berlusca si compra il Caravaggio Odescalchi? Per fortuna no

Dopo le anticipazioni di stamattina del Fatto quotidiano e del Messaggero una certa apprensione ed una certa dose di amara incazzatura mi era venuta: secondo la gola profonda cui avevano avuto accesso i due giornali il Cavalier Banana aveva iniziato una trattativa privata con la famiglia Odescalchi per l’acquisto della Conversione di Saulo, uno dei più bei Caravaggio di sempre. Poi nel pomeriggio ci ha pensato la Presidenza del Consiglio a smentire il tutto, facendomi tirare un respiro di sollievo.
Dal punto di vista legale un bene artistico può essere venduto, anche se, in casi come questi, lo Stato può avvalersi del diritto di prelazione. Il che, considerato le scarse sensibilità e le tasche poverissime dei ministeri poteva creare più di qualche imbarazzo.
Ma quello che avrei difficilmente sopportato è che il quadro se lo fosse tenuto in casa sua il Nanetto. Questo sì mi avrebbe dato fastidio. Me lo immagino già vantarsene, di notte pieno di viagra, di fronte l’ennesima aitante pulzella grandefratellina. Caro Silvio, eventualmente prenda Pomodoro, che fa sempre la sua bella figura e ci si può pure specchiare, lei che è così bello, nel giallo oro. Ok?

Vernissage alla parigina

Ho avuto il piacere di curare una mostra a Parigi, appena inaugurata ieri (se ne avete voglia trovate qui il testo ed alcune informazioni sugli artisti). La galleria per cui ho lavorato è situata nel Marais, uno dei quartieri più interessanti e culturalmente attivi della capitale francese, cui è stata data una nuova immagine a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, con uno di quelle operazioni che risultano quasi impossibili da noi in Italia.
Urbanistica a parte, ieri tutte le gallerie della zona hanno fatto il vernissage insieme, il che ha portato un gruppo enorme di persone a passare nello spazio. Due/tre volte all’anno infatti l’associazione dei galleristi promuove un’inaugurazione collettiva, con evidenti vantaggi per le gallerie ma anche per collezionisti e per il pubblico. La parola magica è ovviamente condivisione.
Ma la cosa che mi ha stupito di più è stato la grande presenza di un pubblico generico, al di fuori cioè di quello di collezionisti e professionisti del settore (artisti, critici, giornalisti). Un sacco di persone, palesemente non addetti ai lavori, è passata in galleria e ha fatto domande informandosi sulla mostra, sulle opere e sugli artisti: cioè l’arte contemporanea non è la solita riserva indiana per fighetti, ma è popolare, quanto meno nel senso che le persone non la percepiscono distante e autoreferenziale.
Noi invece in Italia “continuiamo così, facciamoci del male”.

De Chirico e la parabola dell’italiano disonesto

Non riesco a capire perché un’istituzione sostanzialmente seria, come il romano Palazzo delle Esposizioni a Roma, perda tempo ad ospitare una retrospettiva (a cura di Bonito Oliva), su Giorgio De Chirico con lavori che, pur autografi per mano, sono moralmente e concettualmente falsi. La natura secondo de Chirico – il titolo a dir il vero è spuntato fin quasi a mettere d’imbarazzo – è una mostra su un artista che, dopo essere stato un vero genio della pittura negli anni giovanili, è riuscito nella maturità a disonorare il frutto della propria ricerca.
Nel secondo dopoguerra De Chirico aveva infatti con una certa frequenza iniziato a copiare i propri quadri metafisici, ma anche a retrodatare quelli che faceva per poterli vendere come giovanili: quindi da un lato riproponeva la maniera degli anni Dieci e Venti, dall’altro si autofalsificava arrivando perfino a non rendersi più conto lui stesso se l’opera fosse originale o copia. A quel punto il pasticciaccio era fatto.
Ma che credibilità può avere un simile uomo disonesto? Come possiamo tollerare questa pratica intellettualmente truffaldina dedicandogli una mostra con lavori posteriori agli anni Quaranta (seppure con l’accortezza di segnalarne l’erronea datazione furbesca). Ci piace celebrare il famoso, il noto, il vincente, e non sappiamo mandare a fanculo i vecchi tromboni che ci fottono.
La parabola di de Chirico è esattamente la stessa del nostro paese. Che disgusto.