Categoria: cultura

Dromologia liquida

Sto lavorando a più cose – tre mostre, un festival – contemporaneamente. Il che è assolutamente appagante per gli stimoli che possono venire, dato che le idee buone spesso nascono dall’incoerente rincorrersi di spleen e confusione. Il problema è la velocità folle con cui proposte e controproposte si sormontano, e bisogna nel contempo trattenere il fiato ma liberare la mente. Ed ovviamente non si può mollare.
E’ una continua lotta tra una struttura che deve rimanere in piedi ed una flessibilità che costringe ad essere liquidi. Insomma il più classico derby postmoderno tra pensatori, Virilio-Bauman…

Tenete duro

Non sono bastate le bombe e i colpi di mortaio dei Talebani per fermare le elezioni afghane. Certo in molti punti del paese la popolazione forse non voterà per le minacce dei guerriglieri, ma vedere donne e uomini in fila per votare dimostra il coraggio di questi piccoli eroi che non si prostrano alla violenza e alla sopraffazione. E ancora una volta dimostra come il pericolo e la paura non siano in grado di fermare il desiderio di democrazia, almeno dove questa non sia compiuta.
Coraggio. Il mondo, ma anche la storia, è dalle vostre parti.

I magnifici tessuti di Berlino

Di ritorno da Berlino, con l’amarezza che tutto quello che è possibile in quella città risulta quasi precluso al nostro Paese. Lì da un fabbrica dismessa può nascere un istituto di arte contemporanea o un centro culturale per l’insegnamento della musica. Lì la cultura è importante. E poi regole e le normative si applicano se hanno un’utilità, ma si possono anche trascurare poiché la responsabilità individuale fa fede sulle decisioni, anche quelle collettive.
Gli stracci di quella città ferita dalla guerra fredda, dall’ideologia e dalla dittatura, servono ora per costruire magnifici tessuti. Non si sente a Berlino il fetore geriatrico che ammorba le nostre stanze dei bottoni, bensì un giovanile ed entusiastico sudore del fare.
Non mi era mai capitato prima di vergognarmi così tanto di essere italiano.

Fardelli d'Italia

Ormai è un classico delle cronaca politica sentire il Senatùr e i suoi scattarrare a caso – sotto la canicola agostana – contro qualcuno dei simboli nazionali in quel di Ponte di Legno. Gli ultimi colpiti dal bossiano proclama sono la lingua nazionale e il nostro inno.
Sulla lingua italiana e i dialetti c’è da ridere, ma non si può pretendere che i Lumbard abbiano letto le bembiane Prose della volgar lingua o conoscano il pensiero di Graziadio Isaia Ascoli; mentre per l’inno di Mameli a mio avviso qualche sforzo andrebbe fatto.
Non certo per scegliere Va’ pensiero, bensì per dipanare quell’accozzaglia risorgimentale di parole e retorica difficilmente comprensibili quale indubbiamente è Fratelli d’Italia (la musica di Novaro, a mio avviso, non è affatto brutta). Due probabilmente le alternative percorribili: o l’inno si insegna e se ne spiega il senso, oppure – andando contro la tradizione – se ne cambiano le parole rendendole intelleggibili ed espurgando moti guerreschi.
Scommetto però che, nonostante tutto questo abbiare, niente verrà fatto e l’elmo di Scipio continuerà a cingere le nostre teste. Anche quelle di legno di bosso.

Abbracciamoci

Ieri pomeriggio i Gao Brothers hanno invitato le persone che abitano o che passano per Hong Kong a ritrovarsi di fronte all’Arts Centre per abbracciarsi. Un’azione civile, liberatoria, intelligente (forse non nuova ma cosa ce ne importa?), per esprimere silenziosamente un po’ di quel dissenso che la Cina ed il suo governo fanno finta di non vedere. Vorrei esserci stato, per abbracciare a caso qualcuno qualcuno con gli occhi a mandorla che la pensa come me.

Certo niente di tutto ciò cambierà il mondo. La storia, come diceva il buon Carletto Marx, si fa sull’economia. Tutto il resto serve a sognare. Ogni tanto però è bello chiudere gli occhi…

Pubblica maledizione

Ieri sera ho cenato con una gallerista straniera. Un serata simpatica, coi bambini che correvano per casa. Come sempre abbiamo parlato dell’Italia e della difficoltà di lavorare nel nostro paese, specialmente interfacciandosi con il settore pubblico. Persone vecchie, scarsamente motivate, leggi fatte per mettere il bastone fra le ruote al buon senso e a chi è operoso, comportamenti familistici se non mafiosi. Per fortuna si trovano invece persone eccezionali disposte a farsi il culo, grazie alle quali qualcosa si muove. Ed è una fortuna incontrarle.
Non so però se questo ci salverà. Musica, arte, ricerca scientifica, spettacolo. Penso che il nostro sistema culturale sia oramai destinato al declino…

Contro Venezia

Il ministro Brunetta si è scagliato in un’intervista al Corriere contro la gestione della città di Venezia, città “mercificata e svenduta da una classe dirigente […] rinunciando a qualsiasi progettualità per il futuro”. Se i toni paiono forse esagerati (ma si sa, come cantava De Andrè, la vicinanza cuore-bucodelculo può essere nefasta), per certi aspetti la sua analisi può essere condivisa.
Venezia infatti è ormai in mano ai turisti e ai bottegai che di questi approfittano. La città è un salasso continuo e non si vede un futuro se non nell’essere Disneyland d’acqua. Possibile che i suoi abitanti ed una classe politica troppo interessata a mantenere lo status quo abbia bloccato la città solo alla celebrazione dei suoi fasti passati?
Vorrei la metro a Venezia. Vorrei che la gente tornasse ad abitarci. Vorrei che la città non fosse solo un bellissimo e atipico centro commerciale da turisti sudati e tartassati.
Venezia è senza auto. E’cioè la città più moderna del mondo. Perché lasciarla morire nei suoi cliché? Nelle sue lune fradice di romanticismo? Ah, W i futuristi…

Una vittima della crisi

In un laconico comunicato stampa inviato qualche ora fa, la Fondazione Musei Civici di Venezia ha reso noto che, dopo il dietrofront della Regione Veneto a sostenere la mostra che avrebbe dovuto celebrare i cento anni dal Manifesto Futurista (i soldi sembra siano destinati agli indennizzi per gli straordinari fenomeni meteorologici del mese di luglio), l’istituzione lagunare “pur rammaricandosi dell’opportunità perduta, del lavoro scientifico e organizzativo vanificato e del danno culturale ed economico per la città, ritiene di non potersi assumere interamente i rischi di un’impresa di portata internazionale”. Detto in soldoni: non possiamo permettercelo.
Insomma, checché ne dica il Cavaliere coi tacchi a spillo, la crisi c’è e le mostre vengono segate perché i fondi agli enti locali scarseggiano. Ma è veramente un’occasione mancata o alla fine è meglio così? Capisco l’aspetto turistico e l’impegno ed il lavoro delle persone. Ma a livello di opportunità ci serviva un ennesimo mostra sul Futurismo? O piuttosto bisognava evitare di fare le cento iniziative espositive sul movimento – una per ogni campanile – che si sono registrate in tutto il nostro territorio nell’ultimo anno? Quanti soldi sprecati per una mancanza di coordinazione a livello nazionale, quando bastavo un paio di mostre valore! Ricordate ad esempio Futurismo & Futurismi curata da Pontus Hulten a Palazzo Grassi?
Come girano le mie balle plastiche