Una mostra sulla carta

Un recente impegno di lavoro mi ha portato a Haifa, città in cui ho potuto vedere un’interessante mostra organizzata da uno dei musei cittadini esclusivamente con finalità didattiche, per visitatori cioè di età compresa tra sei e sedici anni. La mostra proponeva un’analisi delle possibilità materiche ed espressive della carta, e – seppur con “solo” una trentina di opere della collezione dei musei – risultava di assoluto interesse. I pezzi spaziavano dalle classiche aporie visive di Cornelius Escher al concettuale spinto di Michael Druks, con anche pezzi di particolare pregio tra i quali un Fontana bianco molto ben scelto.
E’ stata una sorpresa: non sono un frequentatore di progetti didattici, ma mai avevo visto nel nostro paese una mostra così sfaccettata e intellettualmente spinta per bambini e teenager. Anzi qui da noi la didattica si fa ex post appiccicando dei laboratori su progetti già esistenti: molto spesso noia su noia. Non sarà che da noi i bambini li trattiamo da rincoglioniti? O li facciamo diventare per la nostra imperizia?

Pasolini è morto come Caravaggio

Anche se trovo letteralmente fuori del tempo il suo antimodernismo cattolico, sono tra quelli che considerano Pasolini uno dei più lucidi intellettuali del Novecento. Figura di rilievo – sempre comunque scomoda – come testimonia anche la sua morte.
Non so se il feroce omicidio di PPP (trovate le foto qui) sia maturato in quello che comunemente si indica come “ambiente omosessuale”, o piuttosto se invece vi siano dietro motivazioni politiche (cioè Pasolini punito da un gruppo di fascisti che volevano fargli pagare caro la sua omosessualità); o il fatto forse che stesse scrivendo un libro contro i poteri forti, come parrebbe di capire se fosse vera l’ipotesi che il suo romanzo incompiuto, Petrolio, contenesse delle rivelazioni compromettenti (a quanto riferiscono le ultime indiscrezioni e la nuova deposizione del reo confesso Pelosi).
Fatto sta che la sua è una morte difficile, in cui il rasoio di Ockam forse non taglia come dovrebbe. E poi è una morte contesa, come testimonia un toccante ma duro articolo di qualche anno fa dell’amico Ferdinando Camon, che invitava a “non mondare Pasolini dalla morte per omosessualità e consegnarlo alla storia come morto per antifascismo”. Forse più di tutti ha ragione Federico Zeri, spiegando che Pasolini è morto come Caravaggio, dato che “in tutt’e due mi sembra che la loro fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi”.

Giorgione? Vediamolo al centro commerciale!

È curioso e superpop il tributo che in questi giorni Castelfranco Veneto dedica al suo cittadino più illustre, il Giorgione. Dopo la mostra ospitata nella sua “casa natale” (così dicono i comunicati, ma in realtà l’unica cosa di cui siamo sicuri è che in quel palazzo ci sono dei fregi affrescati realizzati dal pittore e dalla sua bottega), letteralmente presa d’assalto dal pubblico, ora il centro commerciale “Giardini del sole” espone infatti delle copie delle opere del genius loci, come pomposamente dichiarato in paginate di pubblicità comprate nei giornali locali.
Così le persone distratte o che non hanno avuto la possibilità di andare alla mostra – basti pensare che ad un mese dalla chiusura erano stati venduti tutti i posti per vedere i suoi quadri – potranno infatti fare shopping e vedere qualche bel pezzo del Zorzon, di sicuro ben riprodotto. In fin dei conti cosa cambia?
E poi, se non siamo riusciti a sentire i Radiohead, cosa c’è di meglio di una cover band dal vivo la settimana successiva?

L'arte concettuale? Per induzione. Parola di Hilla Becher

Ho avuto la fortuna di conoscere Hilla Becher in occasione della mostra organizzata a Bologna l’anno scorso presso il Museo Morandi a Bologna. Mi è piaciuta molto questa signora ormai anziana in grado di esprimersi, come tutte le persone davvero grandi, con semplicità ed immediatezza. In particolare mi hanno colpito le sue parole riguardo i primi anni di lavoro assieme al marito. “Le tipologie”, mi ha spiegato “sono nate dopo anni passati a scattare ricercando di standardizzare il processo di ripresa. L’idea che le foto potessero essere in relazione nasce solo dopo lunghi mesi di osservazione”.
Sono stato felice di sentire quelle riflessioni, tanto più perché provano come l’arte concettuale abbia anche matrici induttive, contrariamente alla vulgata che tanto si ascolta in giro e che congela l’atto creativo nell’idea. Che è spesso quello che tanti cattivi e professori insegnano ai nostri studenti nelle accademie, ammorbandoli con elucubrazioni sui progetti e contemporaneamente sottraendo al fare arte la dimensione pratica. Invece, almeno per la coppia tedesca, l’arte si è sviluppata a posteriori, ed il pensiero è stato generato dall’interazione reale/concetto mediata dall’artista e dal tempo. In barba “ai maligni e ai superbi” teorici idealisti.

Panza di Biumo non resti un caso isolato

Mi è molto dispiaciuto che un paio di giorni fa Giuseppe Panza di Biumo sia venuto a mancare. Lui per me rappresenta un modello prestigioso di intellettuale: è il collezionista che ha capito come, grazie alle sue scelte e al suo gusto, sia possibile intervenire sulla realtà. Chiariamocelo: Panza è una persona con un patrimonio cospicuo e che gode di molte agiatezze sconosciute ai più del suo tempo. Ma la sua azione non è un fatto di ricchezza (benché ricchezza sia necessaria), quanto di rinnovamento culturale e, parallelamente, di allargamento e democratizzazione dell’arte.
Negli anni Sessanta all’Italia – paese in cui molti sono attardati a celebrare i fasti del proprio passato – Panza di Biumo propone invece l’arte del Nuovo Mondo, che parla con alfabeti che non puzzano di accademia o di bella pittura. Ha contatti con i più importanti artisti concettuali e minimalisti, e con i direttori di museo, grazie ai quali decide di lasciare parti della sua enorme collezioni ovunque (consiglio a proposito di leggere le sue parole nei due libri di Jaca Book Ricordi di un collezionista e L’arte degli anni ’50, ’60, ’70). Negli anni successivi apre la sua dimora al pubblico, non smettendo mai di sostenere le idee ed i valori estetici degli artisti amati.
Il suo ruolo è stato nel complesso ibrido: un po’ collezionista, un po’ mecenate. Di sicuro “popolare” nel senso Gramsciano del termine, il che lo fa essere un unicum nel panorama italiano. Tanto di cappello, spero siano in molti ad imitarlo.

Minoli il simpatico confermato da Cota a Rivoli

Giovanni Minoli è una volpe e ha evidentemente delle capacità tattiche non comuni. Doti che gli hanno permesso, tra l’altro, di restare in Rai per quasi quarat’anni, nonostante i tanti giri di walzer alla testa di Viale Mazzini.
Giusto ad inizio settimana erano state rese note le sue dimissioni dal cda del Castello di Rivoli, essendo cambiata la maggioranza alla Regione Piemonte: con una correttezza assolutamente inedita nel nostro Paese – come avevamo segnalato – aveva consegnato il suo mandato nelle mani di Cota. Cota, apprezzato il gesto ha però confermato la fiducia a Minoli, esprimendo “simpatia” nei confronti del direttore di Rai Educational.
Non so che valore possa avere la simpatia dal punto di vista politico e delle competenze dirigenziali richieste per un museo, ma devo dire che, dopo aver visto ieri Fini e Berlusconi incornarsi come due camosci in calore in un tesissimo tête-à-tête, ogni tanto uno spruzzo di simpatia non guasta.

Collezione Unicredit? Molte opere deludono…

Giulio Paolini, Tre per Tre, 1998-99, gesso

Qualche settimana fa ho visto PastPresentFuture la mostra della Collezione Unicredit ospitata a Verona presso il Palazzo della Ragione (trovate la recensione qui), col piccolo rinforzo della Collezione Cariverona/Domus. Una mostra ben allestita, divisa in sette sezioni (alcune invero capziose, ma ci sta in  una mostra anche il divertissement intellettuale del curatore), che testimonia una sezione della collezione della banca. Alcune opere sono state acquistate molti anni fa, altre grazie alle fusioni bancarie; altre ancora sono frutto della più intensa campagna di acquisti svolta da Unicredit negli ultimi anni.
Gli autori sono tutti giusti, non manca nessuno di quelli che sono stati nel dibattito critico degli ultimi due lustri. Peccato però che molte opere siano, nel campo dei singoli autori, mal scelte o laterali rispetto alla loro produzione: non mostrano cioè quello di più interessante che hanno fatto. Come ad esempio quella di Imi Knoebel, Igor Eskinja o Fischli&Weiss.
Se questo è il Past, confidiamo in un migliore e più oculato Future.

Le dimissioni di Minoli e lo spoil system

To the victor belong the spoils, il bottino va al vincitore. Questa frase, pronunciata da un senatore americano ad inizio Ottocento viene considerata come la prima rivendicazione della pratica politica dello spoil system, con cui “le forze al governo distribuiscono a propri affiliati e simpatizzanti cariche istituzionali, la titolarità di uffici pubblici e posizioni di potere”, come spiega Wikipedia. Si tratta cioè di un meccanismo per cui i grandi dirigenti, dopo la vittoria alle elezioni, vengono rimossi e sostituiti con altri del proprio schieramento: una prassi spartitoria che in paesi come gli Stati Uniti è fatta alla luce del sole, mentre da noi è mascherata con la solita italica capacità di nascondersi dietro un dito. Gli effetti deleteri li vediamo ovunque, anche perché, contrariamente a quanto capita in altri paesi per bene, gli italiani non affidano le cariche a raccomandati bensì ad irracomandabili (qui da noi il merit system è un concetto inarrivabile).
Fa specie così vedere – in un paese in cui le dimissioni si minacciano ma non si danno – che ci sono persone come Giovanni Minoli che preventivamente lasciano l’incarico (la presidenza di Rivoli), intuendo come i nuovi amministratori non li metteranno in condizione di lavorare. Era già capitato con il veltronissimo Danilo Eccher al Macro, che però in qual caso stava puntando diretto su Torino e Trento.
E comunque ad entrambi, per un volta in Italia, chapeau.