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L’artista deve essere consapevole?

Mi sono sempre chiesto se l’artista debba essere consapevole, e soprattutto quanto debba esserlo, del posto che occupa rispetto a tutto ciò che lo ha preceduto. Ed intendo per questo la consapevolezza dell’essere avanguardia, cioè progresso ed anticipo del futuro; elemento di novità, portatore di quello che potremmo definire – prendendo in prestito l’espressione dal mondo economico – un coefficiente di innovazione. Quanto gli artisti si devono rendere conto di essere una nuova cosa? Non per miopia, ma a ragione?
La mia domanda è forse priva di senso, dato che forse non è nemmeno il loro lavoro capire tutto questo. In fin dei conti quello che si chiede agli artisti è di produrre linguaggio, eventualmente senso, riflessioni e – per quanto mi riguarda – punti di vista che mettano in discussione lo status quo.
La recente intervista a Edoardo Sanguineti uscita su Exibart è in questo senso molto interessante. “Credo che il significato forte delle avanguardie sia in generale quello di avere precisamente dei programmi, che non vuol dire avere dei programmi estetici o non soltanto estetici: vuol dire cercare di radicarli in una visione del mondo e assumerne una responsabilità come intellettuale. Io parto dall’idea che qualunque comunicatore ha un ruolo intellettuale perché comunica una sua visione del mondo.”
E’ un lavoro molto difficile anche per i critici più attenti e allenati. Non è troppo chiedere agli artisti di farlo?