Clara Luiselli
Orizzonti ritrovati

Genova, Galleria d’Arte Moderna
ottobre ― novembre 2014

L’ultimo orizzonte
Daniele Capra




La siepe del monte Tabor presso Recanati è da quasi due secoli il più celebre esempio di negazione dello sguardo della letteratura italiana. Nella magistrale lirica L’infinito, Leopardi tratteggia infatti il potenziale immaginifico e la possibilità sovversiva di raffigurarsi «interminati spazi» oltre quegli arbusti che bloccano la vista. La siepe non è così banalmente elemento ostativo che impedisce di vedere il paesaggio celato che si srotola oltre la sua presenza, ma diventa l’innesco che permette il poeta – ed il lettore – di fantasticare e di smarrirsi in una condizione inquieta di indeterminatezza, di sospensione temporale e mistica sehnsucht. La fantasia e la forza dell’intelletto trasformano la negatività della privazione visiva in una spinta intellettuale ad immaginare un mare in cui lasciar annegare il proprio pensiero, in un panteismo cosmico.


Benché non manchino in antichità edifici dedicati alle Muse ed al loro culto, il museo per come noi lo percepiamo è una costruzione moderna che si concretizza e si affina a partire dal Settecento. A partire da quel momento il museo si è progressivamente caratterizzato per essere il luogo deputato a conservare, restaurare, valorizzare e far conoscere ai cittadini quegli elementi di rilevanza che l’arte, la storia e la cultura ci hanno lasciato in eredità. È quindi un’istituzione finalizzata a trattenere ciò che è significativo e che si vuole preservare dalle insidie delle miserie umane e dalle offese dello scorrere del tempo: è una struttura finalizzata a sottrarre alla storia quello che esso protegge.


Il progetto Orizzonti ritrovati di Clara Luiselli nasce dalla necessità di ricondurre al flusso della storia alcune opere di collezioni museali che per necessità conservative sono state collocate in musei, muovendole dalla loro originale ubicazione. L’artista mira a ristabilire alcuni elementi di continuità visiva riportando allo sguardo originario statue ed opere d’arte che sono ora in quella che è inevitabilmente una condizione di prigionia, imposta dalla propria caducità e dalla propria materiale fragilità.
In particolare il progetto realizzato per la Galleria d’Arte Moderna di Genova è rivolto al bronzo antropomorfo L’Autunno, di Edoardo De Albertis, prodotto nel 1925 per l’Exposition International des Arts Décoratifs di Parigi e collocato nei giardini dell’Orto Botanico fino ai tardi anni Novanta, quando la scultura venne restaurata e allestita all’interno del museo genovese. Clara Luiselli ha infatti documentato l’orizzonte che la scultura aveva con una telecamera, registrando per una giornata intera il ritaglio di mondo verso cui volgeva gli occhi la statua. Successivamente difronte all’opera è stato collocato un monitor che trasmette proprio il flusso delle immagini registrate, quasi a risarcirla della vista di quel pezzo di paesaggio di cui era stata privata, riequilibrando quel torto da imputarsi all’azione antropica, ambientale e all’inarrestabile ticchettio del tempo.


È una ricerca del tempo perduto, quella messa in atto da Clara Luiselli, che in questo processo non è interessata a mettere in atto una relazione con lo spettatore quanto piuttosto a ricondurre allo stato primigenio l’opera del De Albertis. L’osservatore è cioè esclusivamente un testimone di un’azione finalizzata ad altri: a lui spetta il ruolo di colui che registra l’evento, una sorta d’impotente convitato di pietra, mentre la scultura – che è un essere inanimato – ha il privilegio di essere il destinatario dell’azione, colui che gode cioè delle immagini e dell’orizzonte ritrovato.


Il video che scorre difronte agli occhi della scultura mette l’opera in una condizione di duplicità per il giustapporsi di due differenti orizzonti temporali: quello della propria storia, quasi centenaria, e quello del presente (seppure non cronologicamente tracciabile), testimoniato dal prelievo realizzato dall’artista, che le viene costantemente trasmesso difronte. Coesistono questi due momenti, ignorandosi e sovrapponendosi senza mai entrare in diretta relazione. Coesistono anche due mondi di immagini, quello statico della statua con le sue forme déco e quello sfuggevole del mondo che parla ai suoi occhi grazie all’azione dell’artista. Spetta all’osservatore ricomporre questa dicotomia, vedere quell’orizzonte negato, oltre la realtà su cui getta il proprio sguardo e oltre la siepe della propria immaginazione.