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Clara Luiselli. Se tremo sull’orlo

Clara Luiselli
Se tremo sull’orlo

Bergamo, Oratorio di San Lupo
gennaio ― aprile 2015

Contro l’autorità del tempo
Daniele Capra




La poesia è un evento, e come tale non può essere commento di eventi…
È qualche cosa che, nel momento stesso in cui si genera, in qualche modo accresce la realtà.

Andrea Zanzotto [1]


C’è un momento di particolare emozione quando si stampano delle fotografie da pellicola in camera oscura. È quell’istante in cui, nel buio della lampada di sicurezza, la carta fotografica viene immersa negli acidi di sviluppo e l’immagine latente si rivela ai nostri occhi, mostrandosi prima nei neri profondi e di seguito nelle sfumature progressivamente più chiare. Avviene in quel momento una sorta di epifania in cui qualcosa che ci appartiene in maniera sfuggevole o inconsapevole si materializza concretizza davanti a noi. A partire da quegli istanti al fluire temporale della nostra vita psichica si affianca un lacerto, dotato di anima propria, la cui presenza scorrerà a fianco alla nostra. Quel pezzo congelato di mondo, infatti, è un elemento che predica qualcosa del nostro passato, di cui è inevitabilmente parte documentaria, ricordo materiale.

In maniera del tutto speculare Clara Luiselli in Oracle Room affida invece all’osservatore un elemento di proiezione della sua propria vita indirizzato a ciò che non è tempo passato, rimembranza. L’installazione, realizzata per lo spazio centrale dell’Oratorio di San Lupo, è formata da un cubo di pareti effimere costituite da una fitta rete sulla quale sono collocate, tramite degli ami, migliaia di piccole strisce di carta. Il visitatore che accede al percorso espositivo di San Lupo abbia due possibilità: entrare nella stanza o decidere di guardarla dall’alto, dai ballatoi, da semplice spettatore. Ogni striscia presenta infatti un frammento di immagine – un ritaglio di rivista, giornale o di materiale pubblicitario – che reca sul proprio retro una parola o una frase: il visitatore è invitato a coglierla, a leggerla e a farla propria, intimamente. Il processo che l’artista realizza è così, in modo quasi magico, rivolto al futuro. La striscia è infatti un brandello che corre parallelo alla vita, a quella parte di vita che deve compiersi, rispetto alla quale non è però un vaticinio preciso e dettagliato, ma un’anticipazione allusiva, un suggerimento di una verità cui potremmo arrivare se non fossimo così sempre stoltamente impegnati ed impastati nel tempo presente.

Il modesto e delicato oracolo che la Luiselli affida allo spettatore è cioè una prolessi, un dire prima, che agisce mollemente sul nostro futuro e sulle dinamiche psicologiche che sottendono la sua costruzione. In modo non casuale prolessi deriva dal greco πρόληψις, composto di pro «innanzi» e lespsis «prendere», con il senso di «afferrare in anticipo»: in questo modo, attraverso un gesto, il visitatore è portato ad esperire l’opera esprimendo la volontà di conoscenza su qualcosa che ancora ignora. Rimane significativo il fatto che a determinare la scelta della striscia di carta si combinino la più pura casualità con la volontà del visitatore, senza che questa sia un’aspettativa cosciente, dichiarata. E c’è, in questa modalità fruitiva pensata dall’artista, un evidente approccio Fluxus che mette insieme lo scorrere della vita e la necessità di condensare l’arte in un evento che trova il suo tempo nell’irrepetibilità dell’attimo.

Ma la Oracle Room è un luogo transeunte, destinato alla costante mutazione verso la sua scomparsa, in un rapporto proporzionale al numero dei visitatori. Se da un lato è importante notare come ciascun visitatore non lo trovi nelle medesime condizioni di colui che l’ha preceduto o che seguirà, dall’altro l’aumento delle persone entrano e colgono un oracolo porta le pareti di carta a ridursi, lasciando trasparire mano a mano la struttura architettonica dello spazio espositivo. Con il progressivo dissolvimento delle pareti l’opera è destinata a dilatarsi in uno spazio non definibile da confini precostituiti e in maniera irreversibile. E in questo perdersi diventa poesia, «qualche cosa che, nel momento stesso in cui si genera, in qualche modo accresce la realtà».

Il buio degli spazi ipogei di San Lupo ospitano una scultura che è la parte dell’installazione Orizzonti Ritrovati. Misteriosa, silenziosa e fissa nella ieraticità della pietra di cui è fatta, di fronte a lei, su di un piccolo monitor luminescente, si vede un paesaggio che cambia, dall’alba al tramonto. È il suo paesaggio, lo spazio verso cui vegliava San Benedetto, sulle colline di San Paolo d’Argon, presso uno dei primi monasteri sorti dopo il Mille, dal quale è stato spostato negli ultimi anni, per motivi di conservazione. In Orizzonti Ritrovati Clara Luiselli mira a ridare l’orizzonte dello sguardo ad opere che sono state rimosse dalla propria originaria collocazione, alle quali fornisce una sorta di momentaneo risarcimento, rispetto all’incessante aggressività del tempo, restituendo lo scorrere del tempo attraverso la documentazione dello scorrere di una intera giornata, dal medesimo punto di vista che l’opera aveva in origine. L’intervento – dalla matrice processuale – è parte di un progetto in divenire, iniziato alla Galleria d’Arte Moderna di Genova nel 2014, che sarà reiterato dall’artista con le medesime modalità in altri luoghi espositivi rivolgendo l’attenzione ad altre opere antiche dello sterminato patrimonio artistico del nostro Paese.

L’opera è articolata sulla sovrapposizione di due tempi, quello passato, ormai bloccato nell’atemporalità metafisica del museo in cui la statua di San Benedetto è ospitata, e quello presente, verso cui la scultura non ha più possibilità di guardare. Seppur momentaneamente, l’artista persegue cioè l’obbiettivo di riallacciare le due dimensioni temporali, procurando all’opera medioevale quel ritaglio di mondo che è il suo paesaggio esistenziale. È il tentativo effimero, eppure tragicamente necessario, di annullare la dilatazione temporale dell’orizzonte degli eventi, di incarnare l’utopia umana di un tempo meno autoritario, malvagio e straziante.




[1] Intervista ad A. Zanzotto in G. Bertolucci, In cerca della poesia: tracce e indizi, 1999, documentario Rai.