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Let’s Go Outside

Let’s Go Outside
Bianco-Valente, Shaun Gladwell, Alessandro Nassiri, Guido van der Werve, Devis Venturelli, Driant Zeneli

Milano, Superstudio Più
marzo 2010

TestoLe opere
La genialità di Wile Coyote
Daniele Capra




Ha poco senso chiedersi se l’arte attuale abbia risposte sicure ed inequivocabili da dare alle inquietudini dell’uomo (post)moderno, dato che le soluzioni che trova difficilmente sono soggette al criterio di verificabilità con cui deve inevitabilmente confrontarsi la scienza (e grazie al quale possiamo distinguere, almeno sulla carta, ciò che è vero da quello che non lo è). Ma ancor di più perché l’arte si dimostra un universo in espansione di domande e ragionamenti laterali, cioè difficilmente misurabili con criteri certi, e perché la sua enorme forza nasce dalla messa in discussione dello status quo, dal piacere ludico della manipolazione e dell’invenzione. Come scrive Lyotard, «nella società e nella cultura contemporanea […] il problema della legittimazione del sapere si pone diversamente. La grande narrazione ha perso credibilità, indipendentemente dalle modalità di unificazione che le vengono attribuite: sia che si tratti di racconto speculativo, sia di racconto emancipativo. Questo declino del narrativo può essere interpretato come un effetto del decollo delle tecniche e delle tecnologie a partire dalla seconda guerra mondiale […] oppure del rinnovato sviluppo del capitalismo liberale avanzato» [*]. L’arte permette invece proprio il recupero di quell’approccio narrativo, che Lyotard si vorrebbe accantonato a favore dell’efficienza della scienza e dello sviluppo del sistema economico, mettendo un vero e proprio bastone tra le ruote che girano.

L’arte quindi, pur essendo dotata di un’enorme capacità di creazione, appropriazione ed elaborazione di codici, ha cioè tutt’ora connaturata in sé una forte componente deflagrativa per i sistemi di pensiero che ci sono stati consegnati sulla soglia del secolo Ventunesimo. Un ruolo che per certi aspetti ricorda quello di Socrate nei confronti della tradizione filosofica che lo aveva preceduto: quesiti semplici, rifiuto di ogni retorica e della tradizione sapienziale, nessun manifesto programmatico. Una funzione cioè concettualmente quasi terroristica, come si desume dal fatto che abbia costato la vita al filosofo ateniese. E parallelamente è lecito attendersi che risposte o vie di fuga proposte dagli artisti siano di scala ridotta o di ordine micro, seppur inaspettatamente interessanti. Ma in questo campo la vera ricchezza non è nella consistenza delle soluzioni presentate, propria della scienza, quanto piuttosto nella creatività delle domande poste all’osservatore – di ordine estetico, morale, politico, filosofico.

È fondamentale considerare che nell’ultimo ventennio del Novecento si sono progressivamente dissolte molte delle macroutopie che hanno prepotentemente alimentato il secolo breve (caratterizzato dall’entrata nella storia delle masse, dal veloce sviluppo tecnologico e dalla lotta tra differenti ideologie sotto forma di -ismi contrapposti). Le utopie totalizzanti – di natura sociale, politica e talvolta anche estetica – non hanno tardato cioè a dimostrare tutto il loro peso e la loro goffaggine, e sono più o meno rapidamente crollate sotto il fardello della realtà: la leggerezza da cui erano sottese, parafrasando il celebre romanzo di Milan Kundera, si era fatta insostenibile. In una situazione di fine della storia, come precocemente analizzato da Francis Fukuyama ancora agli inizi degli anni Novanta, il clima di sospensione temporale ha prodotto un vuoto ideologico che non è più stato colmato, con l’effetto di una continua oscillazione tra irrigidimenti ed estrema liquidità di pensiero. La tendenza è stata cioè quella alla polarizzazione e alla continua creazione di piccole nicchie, come testimonia nel campo artistico la polverizzazione di quelli che, fino a trent’anni fa, erano i movimenti e la conseguente pratica artistica come esercizio individuale.

Dopo oltre un decennio trascorso nella coda lunga di questo riflusso (individualista), gli anni dell’ultimo secolo hanno visto invece emergere nuove idee e nuove aspettative più dichiaratamente pubbliche o politiche, anche grazie alla nuova linfa portata dei paesi emergenti: più volte infatti si ha la sensazione che l’artista stia riscoprendo la dimensione sociale del proprio lavoro, come testimoniano ad esempio il grande interesse sulle tematiche delle città e dell’urbanesimo, ma anche il confronto con l’infinitezza della natura e gli aspetti eroici del vivere. Progressivamente sta cioè riaffiorando nella pratica artistica, dopo essere covata sotto la brace, la riflessione sull’utopia, ma non in chiave intimista né tanto meno ideologica. Sono infatti piccole utopie che non hanno la presunzione di spiegare il mondo, ma più semplicemente la volontà di regalare o suggerire visioni e punti di vista che non ci appartengono, che sono inaspettatamente altro: sono nodi, discontinuità, accumuli virtuosi che emergono dopo aver setacciato una realtà che non sembra soddisfare fino in fondo. Non sono più semplici evasioni ma vere e proprie eversioni che ci dimostrano quanto uno sguardo esterno – oltre la cortina della normalità e della quotidianità – sia pratica auspicabile e necessaria. Sono dei formidabili coltellini svizzeri user friendly per gettare lo sguardo al di là della siepe, gli spinaci di Braccio di Ferro o le geniali e funamboliche creazioni di Wile Coyote. E davvero cadere nelle gole del canyon non sarà più un problema.




[*] J.F. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, 1981, pag. 69.


Le opere
Daniele Capra




Bianco-Valente
Entità risonante, 2009, video, 3’35’’, courtesy the artists
Siamo soliti scrivere tutto quello che vogliamo registrare, trattenere, preservare. Dalla lista della spesa ad un saggio di storia antica, è la scrittura la modalità cui abbiamo affidato qualsiasi concetto che vogliamo sussista oltre il tempo breve del pensiero. Anche la musica – che nasce, vive e muore sempre e solo in un istante – necessita del depositarsi fisico in un supporto che condensi le sue orme ed i suoi simboli.
In Entità risonante le parole vengono scritte invece sull’acqua, a penna. E per un attimo il liquido sembra in grado contenerne la forma ed il senso. Poi, lentamente, la vibrazione interna al liquido diffonde quei segni, che diventano macchie di inchiostro blu che danzano, come inevitabilmente lo spettatore si attende. Scripta manent? Per troppo tempo, forse, ci siamo fidati del proverbio latino.


Shaun Gladwell
In a Station of the Metro, 2006, 2 channels video, 10’35’’, courtesy Studio La Città, Verona
Un’affollata stazione di metro, un contest improvvisato tra la gente da alcuni ragazzi appassionati di break dance. Un contesto da metropoli qualsiasi di un continente qualsiasi. Poi, all’improvviso, “l’apparizione di queste facce nella folla”, come recita il primo verso del distico di Ezra Pound (In a Station of the Metro), cui l’opera è ispirata.
Come un haiku due video orientati verticalmente si compongono e si contrappongono, con un ritmo ipnotico. Una continua domanda e risposta, come una fuga a due voci di Bach in cui gli elementi si misurano e si cercano, a debita distanza, simili senza mai necessariamente essere uguali. E nel movimento e nel divenire trovano il sottile e conturbante equilibrio che incolla l’occhio alla visione.


Alessandro Nassiri
Once Elephants used to fly, 2008, 3’, courtesy the artists
Forse non è niente di più che del vapore acqueo, ma una nuvola può essere qualsiasi cosa: sono le proiezioni della nostra fantasia che ci consentono di leggere nella sua forma quello che il nostro pensiero ci suggerisce. Immaginare animali, battaglie, supereroi, è un gioco che si fa da bambini e che poi non si ha la voglia di proseguire, per pigrizia o perché si perde la voglia di alzare la testa.
È una sfida impossibile quella che intraprende l’artista in giro per Istanbul, in motocicletta e con una telecamera in mano: filmare una nuvola che ha la forma di un elefante, incurante della città, del traffico, dei tetti degli edifici. Un’utopia quasi a portata di mano, da perseguire tra i ritagli di azzurro prima che il vento del Bosforo la diluisca definitivamente nel cielo.


Guido van der Werve
Nummer acht. Everything is going to be alright, 2007, 16 mm to HD video, 10’10’’, Courtesy the Artist, Marc Foxx, Los Angeles, Juliette Jongma, Amsterdam, Monitor, Rome
Tra il bianco della neve un uomo cammina sul ghiaccio, con calma indicibile, incurante di ciò che gli sta alle spalle. Risulta piccolo ed indifeso rispetto alla massa enorme del rompighiaccio che a breve distanza lo sta seguendo, gonfio e grosso come Moby Dick. Quell’uomo è un eroe romantico uscito una tela di Caspar Friedrich, a misurarsi con la natura in cerca dell’assoluto, del sublime.
Il suo è un gesto di sfida, al luogo estremo ed ostile, al pericolo immanente. Una tensione forte trasforma in magia ogni passo dell’uomo, che sembra costantemente evitare il baratro, incurante della propria strada irta, della propria sorte. Non sapremo mai cosa esattamente potrebbe capitare e vorremmo intimamente possedere quel coraggio che lui fermamente dimostra.


Devis Venturelli
Continuum, 2008, video, 6’, Courtesy De Faveri Arte, Feltre
È una corsa attorno ad un quartiere di una città in costruzione quello che fa Devis Venturelli in Continuum. Il contesto urbano è appena accennato ma si intuisce la forma degli edifici – avvolti dalle impalcature e dalle gru – che stanno dietro al muro di cinta e che sono la città futura. Sull’asfalto invece tutti i segni di un cantiere con transenne, barriere di plastica, sabbia.
L’artista sceglie infatti di correre portando con sé un nastro luccicante di color oro che sfugge da tutte le parti, conferendogli talvolta i tratti plastici di Forme uniche della continuità nello spazio di Boccioni. Ma non è solo un’acrobazia o una corsa a perdifiato. Venturelli sembra infatti una creatura in grado di incuriosire e di creare stupore, un essere zoomorfo proveniente da un bestiario fantasioso e postmoderno. In Continuum.


Driant Zeneli
The Dream of Icarus was to make a Cloud, 2009, 4’05’, Courtesy the Artist
Volare è sempre stata una delle attività che più ha affascinato l’uomo sin dalle origini della civiltà. Icaro si è dovuto scontrare con l’ambizione e la propria inadeguatezza, Zeneli invece scegli un risultato più a portata di mano e per certi aspetti fragile, antieroico: creare una nuvola. Un gesto semplice ed effimero, che non sembra produrre valore.
Facendosi trasportare da un atleta professionista l’artista infatti compie un volo con un parapendio, da cui diffonde della polvere bianca che nell’aria condensa in forma di nuvola. Un grande sforzo per produrre un’azione molto rapida e non appariscente. La nuvola infatti dura qualche secondo per poi svanire nel vento, tra le montagne. Non resta che farsi portare per mano e sentire la brezza.