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Les yeux qui louchent

Les yeux qui louchent

Igor Eškinja, Fritz Panzer, Manuela Sedmach, Michele Spanghero, João Vilhena

Venezia (I), Galerie Alberta Pane
settembre ― dicembre 2017

TestoGli artisti
L’auspicabile strabismo
Daniele Capra




La realtà è la condizione in cui siamo immersi e in cui sviluppiamo la nostra esistenza in forma soggettiva, grazie all’impiego dei nostri sensi e delle strutture celebrali che ci permettono di ordinare ed elaborare le esperienze. Come ricordava Kant, «la coscienza della mia propria esistenza è insieme coscienza dell’esistenza di altre cose fuori di me» [1]: la consapevolezza di esistere implica cioè la coscienza non solo di un confine che mi determina, ma anche la presenza di qualcosa da conoscere al di là di me, all’esterno. Avviene così che, attraverso una continua negoziazione con gli altri individui, siamo proprio noi stessi a forgiare gli strumenti interpretativi attraverso cui vediamo la realtà e le rappresentazioni mentali che la mappano [2].


Ogni pratica artistica basata sulla realtà, che sia cioè ad essa interessata in quanto soggetto da indagare nelle sue innumerevoli implicazioni, impone all’artista un doppio sguardo, che però non deve essere specularmente bifronte, come quello di Giano, ma deve dirigersi su traiettorie differenti: se infatti un occhio deve essere rivolto a ciò che gli sta davanti (ossia diretto frontalmente verso ciò che si presenta alla sua vista), l’altro deve invece guardare più in là – dietro, sotto, sopra, altrove – e in modo divergente, tale da cogliere una vista del mondo non ordinaria. All’artista è cioè richiesto l’esercizio di un volontario e necessario strabismo che gli consenta di sottrarsi, in ogni modo, ai dettami prefigurati dell’ortogonalità di visione. Egli deve essere cioè visivamente, e con maggior forza intellettualmente, in una posizione di scomodità, conscio che tale condizione debba essere trasmessa ai suoi lavori. Solo in tale maniera la sua opera non è semplice descrizione, vuota didascalia o appendice, ma scomodo elemento di tensione che mira ad indagare e rendere manifeste le ragioni più recondite che costituiscono ed animano la realtà.


La consapevolezza che l’arte miri a fornire nell’osservatore delle letture critiche rispetto al mondo è fondamentale se si considera il lavoro dell’artista non come quello di un semplice produttore di manufatti con delle proprietà estetiche, ma come una pratica intellettuale che possiede marxianamente un’utilità sociale. Nella scomodità della propria condizione intellettuale, trasmessa poi visivamente e linguisticamente all’osservatore, si attua così un processo di attenzione che fa dell’artista strabico una non ortodossa sentinella, dotata di geometrica potenza. Di visione e di pensiero.




[1] I. Kant, Critica della ragion pura, trad. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Bari, Laterza, 2005, p. 190.
[2] Cfr. P. L. Berger and T. Luckmann, The Social Construction of Reality: A Treatise in the Sociology of Knowledge, Garden City, NY, Anchor Books, 1966.

L’auspicabile strabismo
Daniele Capra




Nella sua ricerca Igor Eškinja confondere piani visivi differenti, creando stratificazioni che si prestano a molteplici piani di lettura. La serie Golden Fingers of Louvre, presente in mostra, sovrappone il valore immaginifico dell’istituzione museale francese con il dettaglio pittorico quasi barocco delle impronte lasciate dai visitatori. I segni dalle mani sono così elementi materiali che disorientano lo spettatore, il quale viene stimolato a volgere la propria interpretazione altrove, verso l’astrazione visiva o una possibile Institutional Critique.


Le opere di Fritz Panzer sono dei veri e propri disegni a dimensione reale del soggetto rappresentato realizzati con filo metallico, benché abbiano uno sviluppo tridimensionale. Grazie all’impiego di sottili linee di ferro, con cui vengono delineati gli spigoli ed i profili dell’oggetto, l’artista riconduce la volumetria in un unico piano visivo, comprimendone ferocemente le potenzialità mimetiche e mettendo lo spettatore in una condizione di ambiguità percettiva.


I lavori su tela di Manuela Sedmach nascono da una pratica pittorica minimalista attenta a rendere in forma ondivaga e profondamente intima dei paesaggi visivi in cui si mischiano aspetti realistici ed elementi frutto di elaborazione. Caratterizzate da una limitata palette di colori e da una resa morbida e vaporosa dei dettagli, le sue opere ci raccontano di mondi sommersi ed immaginari, degli universi mentali in cui gli spazi sfuggono alla rigida metrica prospettica.


Con la serie Translucide Michele Spanghero analizza, a partire da una riflessione di Gilles Deleuze, la modalità in cui un’immagine si manifesta a noi sotto forma di una rivelazione che abbisogna di un supporto traslucido su cui essa potersi depositare. In un video ed alcune immagini fotografiche l’artista rendo concreto tale processo rallentandolo in forma smisurata, trasformando l’immagine in un evento ed un flusso dilatato di informazioni che colpiscono il nostro occhio.


La ricerca di João Vilhena è caratterizzata dall’impiego in forma concettuale del disegno e della pittura. La serie L’amour des corps nasce condensando, sotto forma di disegno a grafite, il complesso legame di natura visiva intrattenuto con una donna con cui, in maniera casuale, l’artista ha instaurato una relazione di carattere esibizionistico. Le immagini di lei – conscia di essere vista – nel palazzo di fronte alla sua finestra, sono restituite in forma poetica come ritagli di una relazione visiva intensa, in cui lo spettatore può sostituirsi all’artista e perdersi in un gioco di triangolazioni visive.