Attitudes. Sculpture#1
Ludovico Bomben, Nick Hornby, Charlotte Mumm, Jonathan Sullam

Firenze, Eduardo Secci Contemporary
febbraio ― maggio 2016

Idee di scultura
Daniele Capra




Risulta difficile stabilire cosa sia la scultura, dato la presenza di tante poetiche differenti, di approcci fisici e materiali contraddittori, di pratiche di difficile definizione, di interazioni con l’architettura o l’azione performativa. La scultura semplicemente esiste come opera che occupa o interagisce con un volume, come spazio che si dispone su più dimensioni, come polarità mentale in grado di condizionare anche opere che scultura non sono (si pensi ad esempio al fatto che, con grande intuizione, i coniugi Becher furono premiati alla Biennale di Venezia per la scultura e non la fotografia).
La scultura contemporanea è vittima dell’estetica dell’incertezza e della stolta tendenza a leggere/giustificare come pratiche concettuali modalità, forme e processualità incerte e che spesso conducono al semplice tentativo, ad un infecondo ripiegarsi su sé stessi. Senza insistere su inutili eroismi, la scultura è geometrica potenza, ingombro volumetrico o al contrario leggerezza, mentre siamo invece abituati a considerare come scultoreo di per se stesso qualsiasi manufatto o intervento relativo alle tre dimensioni. Non tutto è scultura, benché essa si possa fare con tutto. È scultura ciò che conserva l’energia significativa necessaria per reggersi ed essere guardato. Il resto, spesso, è pura chiacchiera che ha bisogno di fiumi di parole per stare in piedi e che facilmente si presta a manipolazioni ed intellettualismi onanistici. Risulta così ancora più necessario essere sintetici e in modo di poterci orientare in un frangente geograficamente incerto.
L’opera non può accettare la sua debolezza e farne un vanto, ma deve essere un dispositivo in cui si condensano la forza del pensiero e dell’azione, anche in un gesto performativo o nella forma oggettuale di un manufatto. Pare impossibile riuscire rigorosamente a definire cosa essa sia, ma quando la si vede l’osservatore attento è in grado di riconoscerla.


Nella pratica di Ludovico Bomben è fondamentale la fase del progetto che soggiace alla realizzazione dell’opera, con grande enfasi alla geometria, e l’uso simbolico di materiali contemporanei. Le Pale di Bomben nascono da un’analisi condotta sui rapporti dimensionali delle pale d’altare italiane del Quattrocento e del Cinquecento, nelle quali la collocazione dei soggetti è determinata da matrici compositive geometriche di particolare raffinatezza, che l’artista disassembla e ricompone in forma spaziale con una sensibilità che unisce minimalismo e senso di sacro.


Il lavoro di Nick Hornby invece mette in discussione le tipologie della scultura classica (come ad esempio il busto, la figura intera, ecc.) compiendo un’enorme lavoro sulla forma, spezzando lo sguardo dell’osservatore. Classicismo e capacità di dissezionare la materia sono centrali nei suoi lavori, in cui le abilità tecniche della tradizione scultorea sono innervate da un approccio ed una visione ardita e personalissima. Il frammento, il taglio e l’uso di un’avvincente ed articolata geometria fanno delle sue opere dei caleidoscopi tridimensionali che sfidano lo sguardo dello spettatore a letture inattese su cui si intrecciano molteplici silouhette.


Charlotte Mumm incarna l’idea di scultura come frutto di un’elaborazione gastrica, in cui condividono istinti più razionali a strutture più libere ed informali, che si manifestano con una libertà onirica. I lavori della serie Stomach Communities sviluppano, in forma di narrazione, le possibilità immaginarie e di connessione insite nella materia visiva con gli aspetti più profondi del nostro corpo, con gli spazi che abitano nell’interiorità. Le sue opere sono infatti contemporaneamente immaginifiche composizioni di parti disomogenee e visioni spaziali, in cui elementi organici e geometrici sono in continua frizione.


Nella pratica di Jonathan Sullam è fortissima la capacità di condensare i concetti in formato testuale, con grande libertà di materiali e di approcci, e con un’attenzione, non sempre dichiarata, all’aspetto psicanalitico. In I Killed My Mom l’artista mostra in maniera beffarda l’effetto di un pensiero che tutti abbiamo almeno una volta avuto nella nostra vita. L’artista dà sfogo all’istinto bestiale che giace nel fondo più inesplorato del nostro abisso psicanalitico e lo trasforma in forma attraente, seducente, desiderabile. Così quell’azione ci repelle ed attrae, mettendoci in scacco senza possibilità di uscirne.