Matteo Attruia
Courtesy The Artist

Trieste, LipanjePuntin Artecontemporanea
maggio ― giugno 2012

Soqquadro e baratto
Daniele Capra




«Dio non gioca a dadi con l’universo», scriveva Einstein. Matteo Attruia invece sì, e lo sa fare piuttosto bene. Poco importa se il suo non è «l’universo» a cui pensava il fisico che aveva teorizzato la relatività, quanto piuttosto il sistema dell’arte, fatto, come si può immaginare, di relazioni, di vincoli e di gerarchie. Attruia appartiene a quella categoria di artisti che mirano a scardinare l’ordine prestabilito. La sua opera, infatti, tende ad essere scrupolosamente irriverente nei confronti delle classificazioni, ironica in rapporto allo spettatore, e, più in generale, antisistemica rispetto al contesto. La complessità delle relazioni viene infatti scomposta e, in maniera sibillina, messa in mostra nei suoi aspetti più ridicoli. Il lavoro di Attruia è cioè sempre un lavoro sul potere, sulle modalità in cui viene a crearsi, in cui è gestito, attribuito, subìto. Ed egli, con l’ironia che pare ereditata dai fratelli Marx, tende ad essere più realista del re, rifiutandosi di raccontare le bugie che, per convenienza o necessità, tutti dicono.

Poi, naturalmente, di bugie ne racconta altre, solo che non sappiamo se lo siano davvero (De Dominicis docet). È difficile capire il grado di verità delle sue affermazioni, dato che nascono da complesse operazioni che non è possibile controllare nella loro interezza. È il caso di Courtesy The Artist, per il quale Attruia ha contattato oltre una ventina di artisti da lui stimati chiedendo loro di contribuire alla realizzazione della mostra attraverso la donazione di una loro opera: l’artista rinuncia cioè all’occasione di esporre se stesso presso la galleria LipanjePuntin – mortificando quella forma di necessario narcisismo espositivo comune ad ogni artista – offrendola a colleghi, molti dei quali più conosciuti nel nostro paese di quanto sia egli stesso. Compatibilmente alle proprie esigenze espressive, gli artisti che hanno voluto prendere parte al progetto espositivo hanno ricevuto una busta con un attestato/opera che testimonia la partecipazione e la gratitudine di Attruia, un supporto per l’opera (come ad esempio una tela) ed un francobollo per rispedirla. Le opere, rigorosamente private della firma di chi realmente le ha eseguite, ma non prive dello stile che caratterizza ciascun autore, sono diventate così lavori dello stesso Attruia e come tali sono esposti, con il vincolo di segretezza. Identificate esclusivamente con un numero progressivo, le opere parlano al grado zero, annullando ogni liaison con il background, la storia e il curriculum che solitamente le accompagna. Tali opere, in ultima istanza, sono cioè un dono di uno spazio che Attruia fa, chiedendo in cambio che l’opera non abbia segni manifesti dell’autore: anzi ciascun artista che ha realizzato l’opera ha lo spazio per esporre un lavoro non necessariamente coerente con la propria poetica, in un gioco in cui identità e libertà espressiva potrebbero andare in conflitto.

L’artista mette così in atto un processo basato su dinamiche contrapposte, di condivisione di intenti ma anche di appropriazione del lavoro altrui, svelando da un lato la propria debolezza che lo spinge a chiedere aiuto – in qualche modo dichiarando implicitamente la propria imperizia – e, dall’altro, l’abilità di colui che riesce comunque a trarre un vantaggio da una situazione di difficoltà, ricorrendo alla disponibilità ed al lavoro degli altri. Da un lato così Courtesy The Artist mette in discussione il concetto di autorialità, di identità artistica e di proprietà intellettuale (che sono le basi condivise del sistema dell’arte, del diritto e del mercato), ma dall’altro dimostra come la scaltrezza e l’intelligenza consentano di attivare dei processi partecipativi in cui le parti, grazie ad una strategia collaborativa, ci possano guadagnare (l’artista ha ricevuto perfino opere anonime, spedite probabilmente da artisti non interpellati o che non volevano comunicare a nessuno la propria adesione). Se quindi, lo scopo del sistema dell’arte è fare paragoni, creare ordinamenti e gerarchie e costruire un mercato ed una reputazione in base ai valori, con questa operazione ciascuna opera esposta in galleria parlerà da sola ad ogni osservatore o possibile acquirente. Inoltre Attruia potrà dire di avere in mostra opere con un più elevato grado di importanza, ed altri artisti potranno dire, se lo vorranno, di aver partecipato con uno dei lavori in mostra.

La cosa funziona e fila alla perfezione, a meno che questa operazione non sia solo inventata e messa in piedi da Attruia stesso. E questo è il dubbio iperbolico che può sorgere ai visitatori: chi garantisce che egli abbia realmente chiesto ad altri autori di partecipare e che invece le opere esposte non siano state fatte per lui da altri artisti della domenica, o da artigiani, un po’ come aveva fatto John Baldessari con la serie dei Commissioned Paintings? L’artista californiano in quell’operazione ha dimostrato come il manufatto artistico sei essenzialmente pretesto, o supporto, di un’opera, la cui portata è concettuale; Attruia punta invece il dito sulle dinamiche di attribuzione dell’oggetto-opera ad un autore, ammonendoci a preferire il valore dell’opera a quello della semplice firma. Courtesy The Artist pone in essere un dispositivo di senso che permette di riequilibrare e ricalibrare il nostro metro di giudizio, raccontando come l’interpretazione dei fatti soggiaccia a troppe comode consuetudini, che prima o poi si rivelano essere brillanti bugie per occhi disattenti.

Ma in Courtesy The Artist l’artista ha domandato aiuto anche ai galleristi, chiedendo loro che le pareti non siano semplice contenitore, ma materia viva su cui intervenire: su un muro infatti sarà inciso il titolo del progetto con tracce simili a quelle che usualmente realizzano elettricisti e idraulici. Quella parete spaccata ribalta così l’approccio installativo tipico degli interventi site specific: Attruia si impossessa di fatto della superficie non per risemantizzare lo spazio o riformularne le funzionalità, ma solo per affermare che il proprio gesto è su «gentile concessione dell’artista», conscio del fatto che l’opera sia, in realtà, su concessione dei proprietari del muro, che successivamente alla mostra dovranno farsi carico delle opere di ripristino. L’artista così mette in atto uno scambio con il gallerista o il successivo acquirente dell’opera, in cui, grazie alla transazione economica, entrambi guadagnano: al collezionista l’opera, all’autore lo spazio del muro.

Osservatori siete avvisati. State facendo uno scambio, non state semplicemente osservando un’opera dell’artista Matteo Attruia.