Pedro Matos / Konrad Wyrebek
Beneath the Surface
Firenze, Eduardo Secci Contemporary
settembre ― ottobre 2018
Daniele Capra
Beneath the Surface affronta le problematiche relative all’immagine, dalla sua nascita alla sua riconoscibilità, fino alle dinamiche di trasmissione e concreto radicamento in un supporto. In particolare le opere dei due autori indagano, attraverso la pittura, le possibilità espressive che nascono dalle interazioni implicate dai contesti ambientali e dai media. In tale processo diventa centrale lo sguardo e la casualità dello stimolo e delle interazioni, in cui non siamo portati a cogliere le differenze tra registro alto e basso, tra personale ed universale, tra contenuto intellegibile e forma ermetica. Le opere della mostra documentano come l’opera – essa stessa un’immagine – sia la forma finale e distillata delle infinite possibilità che si manifestano in un processo continuo di selezione, scarto e metamorfosi.
Le opere di Pedro Matos riportano su tela degli ingrandimenti di incisioni rinvenute casualmente su muri, porte di legno, banchi di scuola o alberi. Sono segni, spesso al limite del comprensibile, che siamo abituati a vedere ed istantaneamente a dimenticare, poiché caratterizzati dall’assenza di una grammatica visiva e di reali contenuti di interesse: sono cioè scarto, reliquia di un passaggio di qualcuno prima di noi. Matos riporta questi cluster visivi sulla superficie, impiegando tali segni per fare una pittura apparentemente senza alcun soggetto né sintassi, caratterizzata da un senso di sospensione metafisico.
I lavori di Konrad Wyrebek nascono dall’interesse dell’artista verso l’errore che accade nella trasmissione delle immagini elettroniche e negli algoritmi necessari per comprimerle. L’artista preleva dei fotogrammi che, all’interno del flusso visivo, presentano dei difetti, e successivamente li elabora trasformandoli essi stessi in soggetto. Ma è un soggetto concettuale, che si stratifica sulla tela nella forma geometrica dell’astrazione, in cui sono riconoscibili matrici, porzioni reiterate di colori e pixel. L’immagine finale depositata sulla superficie è così frutto di un lento processo di stratificazione pittorica in parte casuale e in parte condotto dall’artista, in cui lo spettatore è spinto a guardare, interrogarsi, perdersi.
Daniele Capra
La tua pratica artistica è basata esclusivamente sulla pittura. Concentri la tua attenzione su piccoli dettagli, talvolta su elementi quasi invisibili delle nostre vite di cui normalmente non ci prendiamo cura. Poi tu li porti all’attenzione del nostro sguardo sulla tela. Da cosa nasce questo tuo interesse su questa micro realtà?
Mi piace fare delle opere che siano in qualche modo ambigue a che abbiano diversi livelli di significato. La cosa ha a che fare con la ricerca della bellezza in situazioni non convenzionali e su come la si possa riportare nel linguaggio della pittura e nel contesto dell’arte contemporanea, ma anche sull’accettazione, la tolleranza, il silenzio. A persone diverse l’opera può veicolare significati diversi.
I lavori della mostra nascono a partire dalle incisioni che di solito siamo abituati a vedere sui banchi di scuola, sui muri, sulle panchine o sui tronchi. Sono una sorta di testo o di piccole storie inconsapevoli, un campionamento della realtà, che però non possiede alcun elemento di particolare bellezza e sono generalmente sono distanti dal suscitare interesse. Tuttavia tu ne sei sedotto, o per lo meno avverti il potere nascosto che hanno. Successivamente trasformi questi elementi in qualcosa di nuovo, una sorta di affermazione metafisica o un disegno astratto che lo spettatore può scoprire. Pensi che tali segni siano in relazione con la poesia e l’idea dello stupore?
Concordo, ma penso che dovremmo guardarli in maniera molteplice. Da vicino è possibile cogliere il livello micro, dove si può vedere la singola parola, il simbolo, frasi con nomi, messaggi d’amore, parole d’imprecazione, disegni… Non sono particolarmente interessanti di per se stessi, se non per il fatto che azioni di incisione sono comuni a tutte le culture umane, da migliaia di anni. Dall’antico Egitto fino ai graffiti cittadini di oggi c’è un desiderio di rendere il nostro nome e le nostre vite eterni. Dal punto di vista macro tutti questi segni ed il loro stesso deterioramento creano una composizione semi-astratta, che ha un senso poetico ed è in qualche modo maggiore della somma algebrica di tutte le sue parti.
Siamo soliti classificare le immagini in figurative e non-figurative (o astratte) sulla base delle corrispondenze dell’immagine con gli elementi di quella che convenzionalmente chiamiamo realtà. Sei interessato alla realtà o in qualche forma di rappresentazione o sei più attento al processo? Come definiresti la tua pratica artistica?
Sono interessato ad entrambi e mi piace sperimentare i punti di confine. Mi piace realizzare delle opere in cui è chiaro ciò che rappresentano e alcune altre in cui è più vago: mi capita di agire sia per semplificazione dell’immagine di partenza che attraverso un ingrandimento. Accade così di arrivare a delle composizioni che sono molto distanti da come tendiamo a vedere e categorizzare il mondo, poiché diventano “astratte” agli occhi dell’osservatore, sebbene ogni singolo lavoro abbia una o molteplici sorgenti nel mondo fisico.
Solitamente ci si aspetta che un’opera di grandi dimensioni sia guardata da distante, mentre una piccola da un punto di vista più vicino. Al di la degli aspetti fisici, esse suggeriscono all’osservatore differenti approcci. Ho notato come spesso i tuoi lavori siano di dimensione estrema, ma non media, come se tu sentissi la necessità di dipingere esclusivamente opere che stanno agli antipodi. È solo una mia opinione o tu le preferisci?
È vero. Amo le proprietà di entrambe le dimensioni, i piccoli perché sono più intimi e suggeriscono una visione personale, i grandi per la loro forza e la presenza. Realizzo davvero molto raramente opere di media dimensione, poiché non sembrano avere alcuna particolare qualità per la loro dimensione eccetto il fatto che potrebbero forse essere commercialmente più appetibili. Ma questa dimensione mi sembra molto decorativa.
Ho avuto la sensazione che la tua pittura fornisca una sorta di fuga visiva dalla caoticità del mondo in cui viviamo. I colori a tinte piatte, pochi livelli di elementi, bassa densità del disegno: possono essere viste come un luogo mentale in cui riposarsi. Che cosa vedi quando chiudi gli occhi?
C’è qualche forma di spiritualità nel processo di riduzione degli elementi all’essenza, in una condizione minimale e silenziosa. A fine della giornata coi miei occhi, chiusi o aperti, intravedo qualcosa che ricorda in qualche modo la meditazione trascendentale. Però, più che in ciò che vedo, sono interessate al come…
Daniele Capra
I tuoi dipinti si basano su errori casuali e imperfezioni, generati durante il processo di trasmissione di immagini elettroniche, oppure provenienti dall’uso deliberato di algoritmi di compressione dei programmi software. In entrambi i casi, poni particolare attenzione alla condizione dell’immagine come un messaggio incompleto/incorretto, incapace di trasmettere tutte le informazioni necessarie per l’osservatore. Tramite la pittura, riesci a trasformare una quasi-immagine in un’immagine intera. Secondo te, che cos’è l’immagine?
È una bella domanda. Non sono certo di conoscerne la risposta, ma ci provo. L’immagine è sicuramente complessa, ha a che fare con l’intelletto, i sensi, le impressioni ed è piuttosto difficile da riassumere con le parole. Forse questa è parte della risposta: si tratta di un modo diverso di comunicare; assoluto e indipendente. Possiede informazioni che, nell’era digitale, sono codificate e messe assieme in più maniere, adattate a seconda del contesto (culturale, storico, sociale, etc.). Come dicevi, possiede anche un margine di errore, ma non interpreto questo come un messaggio errato, ma piuttosto come un qualcosa di più preciso e completo.
La parola “errore” deriva dal verbo latino “errare”, ovvero “vagare”, “allontanarsi” o “errore”, e può dare l’idea di un’opportunità che puoi scoprire solo se devii dal tuo percorso, dalla tua comfort zone. Credo che possiamo considerare i tuoi metodi come una sorta di ricerca basata sull’errore…
Mi piace questa definizione. Posso confermare che qui ho la sensazione di vagare, ricercare e interrogare…
Il risultato finale (cioè il dipinto) rappresenta la somma degli input iniziali, con l’aggiunta della sequenza di errori che puoi controllare; questa è l’immagine intera. Ti interessa solo il processo di trasformazione, oppure valuti anche il risultato finale da un punto di vista estetico?
Valuto anche i risultati da un punto di vista estetico. Tutto ha inizio prima della trasformazione, quando ricerco determinati colori nei materiali di base che andrò a usare. Il risultato di questo processo, che può richiedere da poche settimane a dei mesi, sono migliaia di immagini. Dopodiché, cerco il colore, la composizione, le forme, le trame, il ritmo, etc. Devo assicurarmi di selezionare qualcosa che sia sufficientemente d’impatto e d’interesse, in modo tale da impiegare più di un mese per trasformarlo in dipinto. Gli strati finali sono realizzati in smalto, visibili solo da determinate angolature; tuttavia, quest’applicazione richiede circa due settimane aggiuntive.
Come selezioni le tue immagini fonte? Hai una procedura specifica, o accade per serendipità? È la foto stessa a essere importante, o essa è solo il punto d’inizio
Prima di tutto, cerco soggetti che mi interessano; argomenti che ritengo importanti e rilevanti per i tempi e la società in cui viviamo. Ad esempio, la distribuzione globale delle notizie (si possono vedere lettori di notizie nella mia installazione video), il cambiamento climatico, il riscaldamento globale, o, più recentemente, anche i canoni di bellezza e lifestyle. Il soggetto e la fonte dell’immagine iniziale sono molto importanti per l’aspetto concettuale del mio lavoro; sono importanti tanto quanto il processo stesso, e solo dopo viene l’estetica.
Siamo abituati a definire le foto come figurative o non-figurative (astratte), a seconda della corrispondenza esistente tra i soggetti ed elementi reali. I tuoi dipinti non si basano sulla rappresentazione pura, anzi, il risultato finale è un’immagine reale di un qualcosa che “vive” per pochi istanti all’interno del flusso elettronico. Seppur esistano molti elementi derivanti dal linguaggio dell’astrazione (come la struttura geometrica, l’uso di trame, etc.), ritieni che i tuoi dipinti siano dei lavori figurativi? Non credi che il processo in sé potrebbe essere considerato un soggetto reale?
Sì, il processo è un aspetto importante, integrale e concettuale del mio lavoro. Parto da un filmato, che è figurativo, e seleziono le immagini di qualcosa che considero rilevante per i tempi e la società in cui viviamo. I lavori di questa mostra potrebbero apparire come astratti, tuttavia, originano da rappresentazioni figurative. Spesso, mi piace lasciare allo spettatore il compito di capire cos’è che hanno di fronte ai loro occhi: ritengo che l’abilità di interrogarsi sia più importante della risposta in sé.
Per via dello sviluppo della tecnologia e della comunicazione, viviamo in un’era fatta di un continuo flusso di immagini. Grazie alla pittura, riesci a rallentare il tempo di un’immagine che hai catturato dalla realtà, e a estenderne la durata. Teoricamente, l’immagine che dipingi può anche durare in eterno. Non consideri questo un approccio verso l’immagine un po’ classico e alquanto contemplativo?
Sì, certo, “Exegi monumentum aere perennius” [1], è molto classico. Tuttavia, al contempo può essere anche molto romantico; catturare qualcosa di veramente effimero, che dura solo una frazione di secondo sullo schermo del tuo cellulare o del tuo portatile. Per un artista, può essere catartico e meditativo, poiché permette di trascorrere un mese e mezzo in più a trasformarlo in un dipinto. Può essere un tentativo di mappatura esistenziale per ottenere la perfezione nell’imperfezione. È un processo circolare ed esperienziale. Penso a tutto questo e anche ad altri aspetti, e penso che potremmo discutere sul tema per ore, entrando ed uscendo (dalla questione) dell’aspetto classico e romantico. Grazie alla tecnologia abbiamo disponibilità d’accesso nello stesso momento a tutti i tempi storici e alle idee.
[1] “Ho eretto un monumento più duraturo del bronzo”, Orazio, Odi, III, 30.