Chiara Bugatti
Creating Heavens
Padova, Multiplo
maggio 2015
Adagio
Daniele Capra
Molti dei programmi di editing di testo per personal computer usciti nei primi anni Ottanta non erano dotati di un’interfaccia che consentisse l’equivalenza tra la forma che i contenuti potevano avere sullo schermo e quella che assumevano invece quando venivano stampati. Una serie di difficoltà, risolte negli anni successivi, impedivano infatti di considerare monitor e carta due supporti dotati delle medesime proprietà, prima tra tutte quella della corrispondenza tra le dimensioni orizzontali e verticali di testi e parole. Non era infrequente quindi che testi visualizzati in un’unica pagina ne occupassero invece anche una seconda, oppure che gli «a capo» dei paragrafi lasciassero righe totalmente bianche. Passato lo sconforto iniziale, tale problema era una spinta per l’utente ad immaginare i propri contenuti in forma più asciutta e mentale, e ugualmente uno stimolo per esercitare il dubbio al massimo livello rispetto alla forma primaria dei contenuti e alla loro visualizzazione.
Niente di questo accade più oggi, in cui la persona media del mondo occidentale vive in una displayzzazione al massimo grado, che porta immagini, testi, mappe, giochi e ogni forma di rappresentazione visiva alle estreme conseguenze e senza alcun filtro di natura interrogativo per l’utente. Saltata ogni barriera Google Maps non è più una mappa del mondo, ma è il mondo. Similmente l’utente di un videogioco non sta più giocando alla guerra, ma è in guerra. Ogni rappresentazione è diventata cioè identica ad un pezzo di realtà, almeno per quella persona che la visualizza.
Risulta quindi di fondamentale importanza anteporre al ritmo incalzante di un display senza soluzione di quantità la lentezza di un confronto visivo realizzato sulla mancanza di sicurezza, sull’incongruenza. Il progetto Creating Heavens di Chiara Bugatti nasce dall’analisi del concetto di scala e della centralità del rapporto dimensionale nel mettere a confronto ogni immagine/mappa con il ritaglio di realtà rappresentata. In particolare l’artista accosta immagini di superfici micro e macro (ad esempio tessuti visti nelle loro trame più piccole o viste satellitari della terra nei momenti precedenti gli uragani) dai quali l’osservatore è tenuto in scacco da una situazione di spleen, di impotenza valutativa, trattenuto forse anche dal pathos indotto dal senso di sublime che scaturisce dai fenomeni della natura. E all’incessante ricorso di un iperrealismo in cui realtà e display sono indistinguibili, la Bugatti antepone così l’asciuttezza di una rappresentazione formale, in cui ogni elemento reale si tramuta in altro attraverso una sua parametrizzazione. La natura astratta e non figurativa della mappa la rendono inoltre un apparato tecnicamente efficiente ed un dispositivo visivamente intrigante, dotato di una forte carica immaginifica aniconica.
L’architettura e i suoi basilari costituenti sono l’altra polarità verso cui ha indagato Chiara Bugatti nelle diverse articolazioni della mostra. L’artista ha velato la vetrata principale rivolta sulla strada con una nuvola semitrasparente, un amnios che cambia la percezione del luogo sia al visitatore dello spazio che al passante occasionale. Inoltre, attraverso l’impiego di strutture dalla semplice geometria, di minimi sintagmi architettonici, l’artista ha frazionato la cubatura della stanza con opere di dimensione ambientale caratterizzate però da volumi trasparenti che permettono allo sguardo di non arrestarsi. Ricorrendo all’uso di vetro, tessuti incisi e pellicole in poliestere stampate, la Bugatti ottiene così – con un delicato effetto scultoreo – livelli successivi di chiaroscuri che invitano l’osservatore ad interagire e a muoversi nello spazio alla ricerca della propria misura. E piacevolmente adagio.