No Beast So Fierce
Matteo Fato, Giovanni Frangi, Giuseppe Gonella, Aleksander Velišček

Canneto sull’Oglio, Galleria Bonelli
aprile ― luglio 2012

TestoGli artisti
La realtà è qui
Daniele Capra




Sarei sceso in guerra contro la società, o forse mi sarei soltanto limitato a riprendere le ostilità. Non provavo più alcun timore. Mi dichiarai libero da ogni regola, eccetto quelle che io stesso avessi voluto accettare. E anche quelle le avrei mutate a mio piacere. Avrei afferrato tutto ciò che avrei desiderato. Avrei ripreso ad essere quello che ero, e con più determinazione.
E. Bunker, Come una bestia feroce, Einaudi, Torino, 2001, p. 284.


Abbiamo passato gli ultimi decenni a discutere l’attualità e l’inattualità della pittura, decretandone la morte e la rinascita, alternando ripetutamente momenti di entusiasmo ad altri di scarsa attenzione, come se tale medium avesse in sé delle caratteristiche di attualità/inattualità a prescindere dai contenuti estetici, linguistici o politici delle singole opere. Viste con gli occhi dell’oggi, tutte quelle che abbiamo alle spalle paiono invece occasioni mancate, onanismi intellettuali da Pangloss – il precettore di Candido nell’omonimo conte philosophique di Voltaire che incarna il ruolo del filosofo chiacchierone – troppo entrati nella parte. Banalmente abbiamo adottato un approccio ideologico a questa forma espressiva, caricando di volta in volta la parola pittura di tendenze reazionarie o progressiste, a seconda delle nostre finalità e di una retorica avanguardistica che, ora che siamo in piena epoca successiva al postmoderno, finalmente pare in declino. E giova segnalare comunque come tutt’ora nel nostro Paese, in ambienti accademici e nel gergo degli addetti ai lavori, l’uso della parola “pittore”, nel senso di “artista che pratica la pittura”, sia usata in forma limitativa, sottendendo cioè un sottile disprezzo o valutazione negativa nei confronti della persona cui è riferita.
La pittura invece, al pari degli altri media, sopra qualsiasi motivazione possibile ed immaginabile, semplicemente esiste, e non ha bisogno di chiedere permesso a nessuno per stare al mondo, come è sempre stato a partire dalle grotte di Lascaux ed Altamira a Picasso (il quale sembra amasse ripetere che “dopo Altamira tutto il resto fosse è decadenza”). È solo necessario avere le orecchie per ascoltarla parlare, per leggere quelle parole che troppo frequentemente sono state solo manipolate. In ultima istanza potremmo così definire l’opera pittorica essenzialmente come un campo di relazioni con codici che sono propri, ma che sono sottoposti a continui micro-aggiustamenti. Se da un lato sembra ancora efficace l’idea che l’opera sia a tutti gli effetti un ipertesto in cui è possibile muoversi in forma trasversale e senza un ordinamento cronologico prefissato, non dobbiamo sottovalutare come l’ipertesto stesso sia costantemente e perennemente aggiornato dal continuo lavorio di coloro che partecipano sia alla ricezione dei contenuti che alla produzione. Potremmo cioè dire che il senso è una costruzione collettiva che avviene ai giorni nostri con le stesse dinamiche accelerate dei social network: l’ipertesto non è cioè fisso e concluso, ma risente di una nuvola di relazioni che tengono in tensione l’opera e la fanno appartenere al mondo affidandole “banalmente” lo status di arte.
La pittura è tutto questo, e non esclusivamente una delle tecniche utilizzata dagli artisti: è una brutta bestia che gioca con la realtà, a partire proprio da sé, e che continua ad esistere anche se siamo al buio o se non guardiamo nella sua direzione, come testimonia il lavoro di Matteo Fato, Giovanni Frangi, Giuseppe Gonella ed Aleksander Velišček. Nel lavoro dei quattro artisti, infatti, sono presenti le polarità fondanti di ogni pratica di ricerca, quegli approcci che combinati opportunamente rendono possibile collocare sul piano interpretativo ogni declinazione artistica. Gli elementi sono quelli della modalità estetica pura, cui fa da converso l’aspetto politico-sociologico, e su piano adiacente l’analisi percettiva visionaria che ha una controparte sull’opera stessa nella riflessione meta-artistica e nel tentativo di trasformazione.





Deformando il celebre motto, possiamo così cogliere come painting for painting’s sakes sia la direzione verso cui tira la corda Gonella, attento a fare della pittura un discorso sulla superficie, sulla composizione e sulla tecnica; come pure quella engagé sia il lato caldeggiato da Velišček, che è attento a smascherare, anche nella sua crudezza, i rapporti di potere che simboli o pornografia mettono in scena. Parimenti Frangi è la ricerca sulla percezione e sulla visione, sulla “emotion recollected into tranquillity” cara a Wordsworth, mentre Fato riflette sulla valenza stessa della pittura, del soggetto, e sulle possibilità di sottrarsi alla nuda bidimensionalità del medium.
Inevitabilmente queste sono le direzioni principali, le componenti più forti cui sono attratti i quattro artisti, ma non sono certo le uniche dato che, banalmente, sono il risultato di interazioni complesse. Il gioco è così quello di individuare relazioni di forza e dipendenza tra le polarità (con l’avvertimento metodologico che le chiavi di lettura non aprono certo tutte le porte), avendo la cura e le attenzioni del caso, dato che ci si sta muovendo in una scacchiera che è prima di tutto un campo di battaglia. Ma è dalle frizioni continue che nasce la dinamica del senso, di quel valore che trasforma un pezzo di tela o una carta in un oggetto che non smette mai di interrogarci. La realtà è qui, non sentite bussare alla porta?
Gli artisti
Daniele Capra




Matteo Fato
Il lavoro di Matteo Fato nasce dall’ossessione per la pittura. L’artista ha sempre amato dipingere a tal punto di privarsene, volontariamente, per oltre un paio di anni. La sua scelta è stata funzionale alla sua stessa sopravvivenza artistica: rescindere tale legame quotidiano con questa amante seducente e possessiva era l’unica modalità per evitare di esserne schiacciato, triturato e deglutito. Prendere le distanze ha voluto dire riprendersi gli spazi d’aria per pensare altro, per sottrarsi alla bestia che chiede tutti i giorni di alimentare la sua voracità.
I lavori ad olio realizzati per la mostra a partire dalla fine del 2011 segnalano quindi un ritorno alla pittura con un approccio maturo e meditato, dopo che sono state metabolizzate le istanze più radicali, e in seguito ad un lavoro di vera e propria decantazione – o, meglio, di purificazione – segnato dall’utilizzo della china e dai modi della calligrafia orientale. Nel periodo di transizione Fato ha così compiuto una riflessione sulle potenzialità anche non bidimensionali della pittura, sviluppando nel contempo una sensibilità spiccata alla linea continua, sinuosa, per la quale il pennello non stacca mai la superficie ma ne ricerca la complicità, in un gesto che è un continuo abbraccio.


Giovanni Frangi
Al celebre Punto, linea, superficie di Kandinskij Giovanni Frangi potrebbe a buona ragione aggiungere le potenzialità espressive, ma anche costruttive, della macchia, dell’ammasso simultaneamente controllato/incontrollato di colore. Sia nelle tinte più delicate che nelle condensazioni che si fanno corpose, materiche, la macchia cromatica è elemento compositivo che crea ritmo, intervalli, episodi di invenzione e, in ultima istanza, musica.
I lavori dell’artista lombardo sono infatti dei veri e propri spartiti, dei dispositivi musico-spaziali che creano un senso profondo e spirituale nel progressivo allontanamento dall’essere immagine. Nella liberà in cui l’idea di mimesys è distante, l’opera sembra purificarsi dai tossici della rappresentazione, che paiono dissolversi sulla superficie come neve sotto il sole di agosto. Si sente così il suono interno al colore, le pennellate si inseguono come una musica polifonica e chi guarda può avere inconsapevolmente – e per meglio vedere – il desiderio di accostare l’orecchio.


Giuseppe Gonella
Giuseppe Gonella è un animale. L’affermazione può sembrare tranchant, ma a sua capacità di generare incessantemente pittura – trascurando il mondo e tutto il resto – è entusiasmante per qualsiasi osservatore che ami perdersi nei particolari della visione. L’artista veneto infatti è un instancabile artigiano della tela: la superficie è cioè il vero soggetto del suo lavoro, mentre il genere e i codici espressivi accademici sono destinati a deflagrare sotto i colpi della sue pennellate. La sua è così una pittura pura, di fonte, che è ossigenata dalle bizzarrie delle rocce della montagna e dalle radici di alberi secolari.
Il sui lavori risentono degli stilemi della pittura tedesca, in particolare della Scuola di Lipsia che è stata uno dei fenomeni più importanti degli ultimi vent’anni. Ma c’è in più in Gonella una follia compositiva, cui segue un continuo lavorio di rifinitura pittorica, che sviluppa una tensione estetica di grande impatto. Le sue opere prodotte quindi per infinita germinazione, per reiterazione paratattica di elementi che lasciano lo spettatore a bocca aperta. Vedere, con Gonella, vuol dire meravigliarsi.


Aleksander Velišček
La politica ed il potere – quello economico, ma anche quello mediatico delle immagini – sono le grandi tematiche che stanno di fondo ai lavori di Aleksander Velišček. Tanto nei ritratti che nelle rappresentazioni di violenza dei film pornografici, le relazioni tra le persone sono degradate alla mera gerarchia. Il piacere, l’eccitazione, il successo o la popolarità soggiacciono a ferree modalità dell’ordine, dell’ubi maior e di una parte soccombente che finisce ad essere masochista. Secondo Velišček, infatti, le immagini sono tutte politiche, anche se non direttamente trattano di politica.
L’artista sloveno, vicino alle analisi sociologiche neomarxiste di Slavoj Žižek, rivendica così una stretta politicità della pittura come medium espressivo. Ma nel contempo, con modalità che ricordano l’espressionismo, è attento a caricare di colore e di veleno la tela ed il volto dei suoi personaggi. Nessuna redenzione è possibile, nemmeno per chi guarda, costretto a subire la violenza dello sguardo.