Diango Hernández
Olaismo

FL Wizard Gallery, Milano
marzo ― maggio 2022

Uno spruzzo di acqua salata
Daniele Capra




La pratica artistica di Diango Hernández, nata dal design e dall’analisi del contesto culturale e politico, si è progressivamente indirizzata verso gli elementi primari dello spazio, della forma e del colore. Centrali nella sua poetica sono l’uso della composizione e del ritmo visivo originato dal segno e dal colore, che rivelano un immaginario carico di elementi autobiografici. Anche nel caso di lavori in cui gli aspetti formali assumono un ruolo fondamentale, le esperienze dirette vissute dall’artista o la loro memoria sono i principali elementi generativi, senza però mai essere in alcun modo direttamente rintracciabili o influenzare l’artista in chiave autobiografica. Per Hernández – che è artista in quanto persona che ha vissuto – le opere sono gli elementi di una complessa narrazione identitaria: in essa, infatti, poeticamente si ricompongono gli aspetti concettuali, socio-politici e quelli più spiccatamente visivi, attraverso una forma sintetica dotata di un’impalpabile aura magica. Tale aspetto permette di cogliere le numerose articolazioni della ricerca dell’autore, che spaziano con estrema libertà dalla scultura al disegno, dall’installazione alla pittura, ma con una grande precisione tecnica rispetto al medium scelto e alle sue implicazioni espressive.


I dipinti della serie Waterfalls nascono da un’esperienza vissuta in prima persona dall’artista, il quale, in maniera del tutto casuale, si trova a osservare un’immagine attraverso la vecchia porta a vetri della propria casa a Düsseldorf. Hernández è rapito da quella visione e dalla trascrizione deformata – in parte infedele, in parte attendibile – che il vetro ondulato permette. Si rende conto di come tale semplice artificio possa essere uno strumento di meraviglia in grado di fornire una versione magicamente alterata della realtà. Egli inizia a guardare altre immagini attraverso il vetro e decide di fare di quelle inattese apparizioni delle opere. Comincia così a dipingere ciò che vede, trasferendo mimeticamente sulla tela, grazie ai colori a olio, quelle visioni deformate. Le composizioni che ne risultano sono insieme allusive ed elusive: in parte mostrano il soggetto, rendendolo intuibile e manifesto, in parte lo nascondono non consentendo di conoscerlo fino in fondo. È un parlar tacendo, reso possibile dalla finzione di quel semplice vetro semitrasparente che diventa, nella logica di Hernández, non tanto un semplice filtro che si frappone tra noi e il mondo, ma un vero e proprio strumento di mise-en-scène della realtà, compiutamente autonomo. Lo scopo dell’artista non è tanto quello di ricorrere a una lente per avere degli esiti che evocano altri linguaggi, come accadeva nel pittorialismo in cui la foto doveva simulare la pittura, quanto invece usare il vetro ondulato come una un’inedita camera obscura, benché anomala e infedele, capace di selezionare un ritaglio di realtà e di renderlo sorprendentemente disponibile al nostro sguardo, grazie alla sua successiva trascrizione pittorica. Il processo messo in opera dall’artista cubano non mira cioè a modellare in forma diretta il risultato, rendendolo piacevole o seducente, ma a potenziare l’intensità e la pregnanza della fonte originale. Hernández, in buona sostanza, non si focalizza sull’esito conclusivo, ma agisce retroattivamente intensificando la forza del contenuto originario, in qualche modo accrescendolo.


Allo stesso modo, però, la deformazione prodotta assume la forma dell’onda, elemento concettuale sul quale l’artista sta lavorando da tempo e con rinnovati approcci. L’onda è insieme soggetto, logotipo e strumento interpretativo attraverso il quale osservare il mondo. È un vero e proprio punto di osservazione, del tutto autosussistente, che garantisce una prospettiva univoca e, per certi aspetti, totalizzante. Ma è anche matrice iconografica, concetto generale/astratto e approccio sentimentale, reductio ad unum e metro di misura del visibile. L’onda, in spagnolo “ola”, è l’elemento fondamentale dal sapore vagamente modernista, ma in chiave aperta e vitale, dalla fantasiosa libertà caraibica. È una testimonianza della possibile surreale ricostruzione di ogni immagine che la pittura rende possibile, in totale autonomia dalla realtà e dalle sue più rigide prescrizioni. Hernández destruttura la forma percepita per ricomporla, con sottile leggerezza e lucida follia, in forma immaginata.


La pittura classica e i soggetti codificati dai generi (in particolare il ritratto, la vista architettonica d’interno e il vaso di fiori) sono i soggetti primari delle sue opere, anche se non vi è alcuna enfasi nella rappresentazione mimetica della realtà, nel volerle cioè assomigliare in qualche modo. L’artista si prende infatti la libertà programmatica di divagare, di non scegliere il percorso più breve, ma di muoversi nei dintorni, dilatando con differenti strategie il percorso. È una dinamica che conduce al rallentamento percettivo da parte dello spettatore, che si trova in una condizione simile a colui che guarda un testo che continuamente oscilla, instabile come il fluire continuo delle onde. Hernández trasforma infatti ogni osservatore nel signor Palomar di Italo Calvino (nel primo racconto del libro omonimo), intento a cogliere le increspature del mare e le loro perpetue variazioni, dato che “un’onda è sempre diversa da un’altra onda; ma è anche vero che ogni onda è uguale a un’altra onda, anche se non immediatamente contigua o successiva; insomma ci sono delle forme e delle sequenze che si ripetono, sia pur distribuite irregolarmente nello spazio e nel tempo.” Gli occhi danzano nel tentativo di catturare la fissità di un’istante, salvo poi fallire e ricominciare il gioco da capo. È una sfida in cui la pittura è solleticata dai possibili intrecci delle linee e, per certi aspetti, dal linguaggio della grafica. In questa danza interrogativa innescata dall’artista cubano, in cui chi guarda è coinvolto in un ballo sfrenato che dura fino a notte fonda. È un continuo dibattersi tra il dettaglio e vista d’insieme, tra il voler riconoscere e il dover immaginare quel particolare che è stato eluso dalla pittura, poiché di fronte l’opera di Hernández siamo naturalmente portati, come il signor Palomar, a “cogliere tutte le sue componenti simultanee senza trascurarne nessuna.” La sua pittura è così un caleidoscopio che innesca il mistero della pittura, in un gioco di svelamenti, presenze, rincorse funamboliche e apparizioni silenziose. Come il mare di Cuba, che d’inverno si fiacca a L’Avana contro il muro del Malecón, frantumandosi in uno spruzzo di acqua salata che ricopre tutta la città con un velo impalpabile che profuma l’aria.