Elisabetta Di Sopra
Pietas

Venezia (I), Bugno Art Gallery
novembre ― dicembre 2018

Pietas
Daniele Capra




La ricerca di Elisabetta Di Sopra è incentrata principalmente sull’uso del video e sulla costruzione di narrazioni caratterizzate da azioni semplici ed incisive che mettono in luce le dinamiche psicologiche sottese alla vita quotidiana, alle relazioni familiari, al corpo femminile e maschile, e ai ruoli sociali. La mostra di Venezia raccoglie tre recenti progetti dell’artista accomunati dall’analisi dei concetti della dedizione, della cura, del dolore e della fragilità della nostra condizione esistenziale. In particolare essa sviluppa visivamente delle micro-storie che hanno per centro la figura umana, in grado di fornire allo spettatore una lettura inaspettata e laterale, riscrivendo o capovolgendo l’epos delle grandi narrazioni, della forza e dei miti che imprigionano la persona nella figura del personaggio relegato ad un destino obbligato e a un ruolo essenzialmente monodimensionale.


L’amore e la dedizione all’altro è l’elemento generativo dell’opera a due canali The care, in cui una donna si prende alternativamente cura di un neonato e di un anziano, in un’azione spontanea e naturale di attenzione. Il video mette in scena la condizione di tensione emotiva, solitudine e labilità vissuta delle persone che si dedicano agli altri, e in particolare di molte donne che – tanto più in un paese fortemente arretrato socialmente come il nostro – sono troppo spesso le uniche persone, nelle famiglie, educate e sensibilizzate ad avere tali attenzioni. Provvedere alle ineludibili esigenze dell’altro, sia nel caso di congiunti, di conoscenti o di persone con cui non abbiamo particolari legami, è un modo per interrogarsi individualmente sul proprio ruolo, sulle nostre capacità di intessere relazioni e stabilire una minima rete di solidarietà sociale. Nello sforzo e nell’attenzione all’ascolto, The care è un inno sommesso a chi avverte l’amore verso il prossimo, alla sensibilità di colui che avverte l’altro, anche emotivamente, come una fondamentale parte di sé.


Pietas, che dà il titolo alla mostra, nasce dalla necessità di riscrivere il mito di Medea lavando la sua figura dalla colpa di aver ucciso i propri figli per vendicarsi del tradimento di Giasone, secondo la narrazione che ne fa Euripide. Non più giovane, carica dei colpi che la vita le ha assegnato, Medea (interpretata da una splendida Fiora Gandolfi) è, nel video dell’artista, una donna afflitta che disperatamente cerca sulla spiaggia i segni della presenza dei propri figli, raccogliendo le scarpe, le vesti, i brandelli di tessuto che il mare casualmente restituisce a debita distanza temporale. Accomunata alla sorte di molte madri che hanno pianto e piangono i propri figli inghiottiti dal Mar Mediterraneo che la cronaca degli ultimi anni ci ha raccontato, Medea è per l’artista la metafora del tormento dell’essere madre che ignora il destino dei propri figli o vive la pena della loro morte. Pietas, cui non è estranea una fascinazione pasoliniana, racconta così, in forma sintetica e con una grande carica emotiva, il conflitto irrisolvibile tra caso ed aspettativa, tra la forza della vita e l’imponderabile imprevisto della morte.


Il video a tre canali Dipendenza Sensibile è un racconto dell’abnegazione verso la fatica e dell’ossessione per la forma fisica di un pugile, ormai ottantenne, che non smette di allenarsi e di prendere a pugni il sacco nero da allenamento che ha di fronte a lui. In antitesi concettuale sui monitor laterali scorrono invece – con un grande contrasto dal punto di vista visivo, cinetico ed emotivo – immagini di piccoli eventi naturali che seguono il proprio corso con placida ed implacabile lentezza. Il titolo fa riferimento alla teoria della dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali che in matematica e fisica spiega come, in un sistema caotico, variazioni infinitesime delle condizioni iniziali possano produrre variazioni significative di comportamenti futuri. Quella del pugile assume così i contorni di una sfida al decadimento del corpo insieme titanica e ardita, tanto più perché inevitabilmente destinata alla sconfitta. È un tentativo di opporsi all’ineluttabilità del tempo e di condurre orgogliosamente la propria vita senza esserne condotto, consci delle distorsioni e degli accadimenti che potrebbero deviare altrove i propri intenti ed il proprio destino.