Giulio Zanet
Ecolalia

Supergiovane, Gate 44, Milano
novembre 2022 ― gennaio 2023

Ecolalia
Daniele Capra




Il dizionario Treccani definisce ecolalia come “l’abitudine di ripetere, parlando, una o più parole della frase”. La parola è usata anche in psichiatria per descrivere il “disturbo del linguaggio consistente nella ripetizione automatica di parole o frasi udite al momento”, che può essere immediata o posticipata. Tale condizione si riscontra tipicamente in coloro che versano in stati demenziali, catatonici, isterici e nelle persone affette da schizofrenia o da autismo. Ma il fenomeno si registra anche nei bambini, i quali, in maniera naturale, imparano a parlare anche grazie all’imitazione e alla riproposizione di ritagli di discorsi ascoltati in precedenza. È interessante infatti notare come la dinamica dell’apprendimento del linguaggio verbale sia basato sulla reiterazione di un modello, appreso prima per via sensoriale (uditiva), e poi replicato attivamente grazie alla fonazione.


Per gli artisti che lavorano in forma espressiva in prima persona – operando cioè direttamente con i materiali – il linguaggio artistico è spesso il risultato di modalità maturate nell’attività quotidiana attraverso le condizioni ambientali, le abitudini di studio e la stessa esecuzione dell’opera. Tale processo può essere assimilato alla consuetudine di percorrere un itinerario noto con un livello elevato di automatismi, spesso non consci, che progressivamente si stratificano inizialmente in un comportamento abituale e, successivamente, in un vero e proprio sistema coerente. Rispetto a questa logica non sono estranei alcuni minimi imprevisti, o talvolta, delle vere e proprie variazioni: si tratta essenzialmente di eventi casuali che non intaccano né gli esiti del tragitto né la riconoscibilità del percorso. In questo senso l’opera può essere interpretata come il frutto di un continuo muoversi dell’artista nei dintorni di un sentiero, in parte già battuto, in parte inesplorato, in cui però sono riconoscibili gli alberi più imponenti: sono essi che, per automatismo psicologico, consentono di non allontanarsi troppo rispetto al tracciato principale, costituendone dei riferimenti ineludibili.


Nella pratica di Giulio Zanet la parola ecolalia racconta la tendenza dell’artista a concepire la pittura come ripetizione processuale di gesti simili, di atti e procedimenti tecnici quasi identici maturati dall’esercizio esecutivo realizzato in prima persona. Tale ripetizione è, contemporaneamente, l’esito di una processo linguistico affermativo e identitario, in cui l’io dell’artista conferma la sua esistenza nel gesto pittorico, e una forma di vera e propria autoprotezione, che esclude la maggior parte degli altri stimoli che potrebbero essere invadenti o devianti. Nella reiterazione concentrata dello studio Zanet presta così la massima attenzione alla musica mentale/interiore che sta generando mentre dipinge, con l’effetto di azzerare concettualmente gli altri suoni e il rumore ambientale. Quelle dell’artista sono immagini che nascono essenzialmente da una pratica costante di lavoro, in una modalità fortemente inconscia, in cui egli ha imparato a dibattersi tra abitudine e accadimento imprevedibile, e i cui esiti sono quelli di una complessità misuratissima.


Il progetto Ecolalia raccoglie cinque opere aniconiche di grandi dimensioni (“circa grandi uguali”, come raccontato dallo stesso artista) realizzate da Zanet su un supporto inusuale: un tessuto tecnico monocromo a base vinilica, lucido e iridescente. Su di esso l’artista è intervenuto con il pastello a olio e lo spray realizzando dei dipinti stilisticamente concisi e quasi grafici, popolati dai segni nebulizzati delle bombolette, a cavallo tra le consuetudini espressive degli street artist e gli scarni disegni funzionali che gli operai realizzano, nei cantieri, sui muri di cemento o sull’asfalto. Ma, a ben guardare, in tali lavori asciutti e scarni la superficie è dominata dal ludico piacere della scrittura, che si manifesta in forma anarchica in segni sciolti che molto ricordano gli scarabocchi che capita di fare quando si prova su carta un pennarello mai usato prima. Al contrario di quanto accada in quelle situazioni, però, le forme elaborate dall’artista appaiono chiuse, finite, circostanziate e perfettamente determinate, poiché sono il frutto di una meditata ri-composizione, di un esercizio cioè di combinazione/concordanza ragionata sull’aggregato di segni. Nella sua grammatica personale, infatti, Zanet ha imparato a gestire il conflitto tra casualità e volontà, tra arbitrio capriccioso e responsabile libertà, grazie a un labor limae maturato sul campo prova dopo prova, prestando attenzione ai dettagli e alle dinamiche percettive. Tale aspetto è testimoniato anche dalla precisa volontà di delimitare lo spazio del dipinto in maniera tagliente, racchiudendo l’opera in una cornice di metallo pensata ad hoc: il dispositivo serve infatti per delineare una sorta di campo non violabile, uno spazio per l’aura autonomo e incontaminato, che si mescola ma non si confonde con quello che c’è nell’ambiente, poiché corrisponde a nient’altro che al suo intrinseco e intimo ordine.


La ricerca di Zanet è caratterizzata da un uso estensivo della pittura – che spazia dal lavoro su tela all’uso dei tessuti, dalla scultura all’installazione ambientale – nella quale sono centrali l’aspetto cromatico e il ritmo tra gli elementi costitutivi. È grazie alla combinazione di tali elementi che i suoi lavori stanno in piedi in forma credibile, in opposizione alla visione figurativa e concreta del mondo, ricorrendo a forme astratte, libere e fluenti, nervosamente ritmate dal colore. Nelle sue opere, come nel caso dei cinque Senza titolo che costituisco la seria di Ecolalia, si osserva sintatticamente un’alternanza sincopata tra campiture piatte e trame, tra segni fluidi e forme più spiccatamente nervose, di origine gestuale. I colori della pittura sono puri, ruvidamente violenti e smodatamente artificiali, in smaccato contrasto col tessuto di fondo monocromo e iridescente. Sulla superficie pittorica geometrie improvvisate, forme fluide e azioni espressive calligrafiche si combinano liberamente, animate da un ritmo visivo serrato in cui armonia e dissonanza si rincorrono, senza però mai ricomporsi in una forma stabile. Ma, al contrario, danzano sfrenatamente sotto i nostri occhi.


È lecito immaginare che anche l’artista stesso si muova ritmicamente nell’azione della pittura, confrontandosi con la superficie con in mano i propri strumenti di lavoro. Sembra quasi di vederlo, vicino l’opera, agitarsi, assumere posture strane o defilate, ripetere azioni e gesti, in preda a una danza rapsodica che disorienta. Dal punto di vista psicologico le opere della serie ci raccontano infatti come per Zanet dipingere coincida con un’azione coreutica, coordinata nella volontà di movimento e scoordinata nella sintassi esecutiva. È un ballo impulsivo, su un ritmo anomalo, incalzante, costituito da microripetizioni di cellule ritmiche, cluster ed elementi ricorsivi che si mescolano a improvvisazioni incontrollate. State in silenzio, prestate attenzione e guardate intensamente. Lo si sente perfino fischiettare.