Intervallo di confidenza
Fabrizio Prevedello, Kristian Sturi, Michele Tajariol

Monfalcone (I), Galleria Comunale d’Arte Contemporanea
marzo ― maggio 2016

Spazi, intervalli e spinte
Daniele Capra




Lo studio di un artista è luogo, talora mentale, più frequentemente fisico, anche se le due categorie – non escludendosi a vicenda – si sovrappongono sovente. È mentale perché delinea un’area in cui vi è una tensione mirata al creare e al fare, alimentata innanzitutto dalle aspettative personali e dal dover dare seguito alle proprie urgenze espressive. È fisico perché ha porte e finestre, spine per la corrente e tavoli.
Lo studio però non è esclusivamente lo spazio in cui si trovano opere, oggetti, strumenti di progettazione e di lavoro, disegni, computer, trapani, colore e libri: è qualcosa di più e di diverso. È un territorio, cioè una zona delimitata in cui gli elementi contenuti hanno una relazione forte tra di loro e, soprattutto, con la persona che li ha raccolti ed ordinati: è cioè il luogo in cui gli spazi e le differenti funzionalità degli oggetti contenuti trovano modo di esistere rispetto ad una finalità stabilita (la progettazione o la realizzazione di un’opera). Nel contempo esso è anche un’area governata con regole stabilite da un’unica fonte, che in maniera inevitabile ne è contemporaneamente autore e destinatario. L’artista è infatti colui che modella il proprio studio, ma ne è insieme anche l’ospite, cioè il modellato, poiché ciò che egli pensa e produce è anche effetto di ciò che lo circonda, della collocazione più o meno casuale degli strumenti, del grado di ordine/disordine, della disponibilità dei materiali e di tutte le altre variabili. La posizione degli oggetti, dell’equipaggiamento tecnico, i volumi dei tavoli e degli scaffali, definiscono così a un’area di azione in grado di influenzare gli sviluppi dell’opera, anche nelle situazioni in cui l’artista agisce in opposizione ai condizionamenti fisici che l’ambiente gli impone.
Lo studio è uno spazio in cui l’artista crea ed alimenta una forma di inconsapevole territorialità che influenza la sua produzione, in modo ancor più significativo se la sua pratica è basata sul fare, su un pensiero che è insieme dispositivo ed operativo, ossia meno vincolato da una progettualità rigida e stretta. Più frequentemente per chi pratica discipline artistiche manuali in prima persona – come scultura o pittura – esso è insieme pensatoio, tana e officina, luogo di creazione/produzione.

Lo studio è il territorio in cui si sviluppa e prende forma la poetica di ciascun artista, grazie a strategie e processualità complesse caratterizzate dalla percezione del rischio e dalla fiducia in sé, in un continuo alternarsi delle due polarità emotive. È quindi il luogo eletto in cui nuove grammatiche personali vengono messe alla prova, una zona ibrida in cui coesistono azioni che sondano il terreno familiare con campionamenti che potrebbero condurre ad esiti espressivi nuovi. Lo studio è cioè luogo in cui è praticata l’alternanza antropologica tra stanzialità ed esplorazione, ovvero avviene la mediazione tra l’esigenza di costruzione (erettiva, che mira quindi all’altezza, alla verticalità) e la ricerca di nuove zone in cui poter costruire (azione che mira all’orizzontalità, a scrutare il campo visivo).
In statistica l’intervallo di confidenza fornisce il campo di variazione all’interno del quale ci si aspetta di trovare un parametro non noto, e ne rappresenta così il grado di attendibilità: l’intervallo di confidenza è cioè l’indicatore della bontà di una misurazione, della sua reale significatività. In maniera analoga possiamo indicare come intervallo di confidenza quello spazio di lavoro insieme fisico e mentale entro cui l’artista si muove, l’area in cui le ipotesi di partenza – rispetto alla propria poetica, ai materiali, alle sintassi compositive – hanno un grado prevedibile di verificabilità. L’intervallo è cioè il campo in cui ciò che è certo cerca di tenere a freno l’esuberanza del tentativo e della prova. È la condizione di consapevolezza dell’artista in cui le spinte centrifughe che lo portano a superare il confine del noto devono essere assecondate, scansando tuttavia il rischio di farsi travolgere, di rimanerne stritolato. Nel momento di massimo sforzo l’artista è costretto a sviluppare delle modalità esecutive in cui il dubbio sistematico nei confronti del non conosciuto è moderato dalla fiducia nei propri mezzi e dalla possibilità di cadere senza farsi troppo male: egli deve cioè saper sviluppare delle doti con cui essere in grado, per tratti anche non molto brevi, di navigare a vista, non potendo disporre degli strumenti necessari per poter misurare e valutare le ricadute di ogni azione. Ed è in questa dicotomia che l’artista deve aver il coraggio di muoversi, se non vuole limitarsi ad essere un ripetitivo fautore di equilibri già esplorati o di modalità oramai percorse. Inevitabilmente l’evoluzione del lavoro è frutto del tentativo, del rischio ponderato, del coraggio di buttare il cuore oltre le secche del presente.

L’opera può essere cioè interpretata come un atto psichico volontario caratterizzato dalla concentrazione energetica, dall’intensità concettuale, spaziale, temporale o emotiva. È cioè l’effetto di pressioni, di tensioni e rotture, in maniera non dissimile da quanto accade coi fenomeni sismici, alimentati da continui movimenti e scontri tra gli strati a differenti profondità della crosta terrestre. L’opera è il fenomeno deflagrativo che rompe un equilibrio precario ed instabile, liberando in maniera eiaculatoria l’energia che si era progressivamente accumulata. Necessariamente l’azione prelude ad una creazione di ulteriore tensione, in un eccitamento graduale che troverà sbocco in un strappo successivo, con modalità ricorsive che ricordano l’andamento ciclico delle scosse telluriche.
La consapevolezza di tale andamento è parte dell’intervallo di confidenza in cui gli artisti si muovono, è la regola non scritta che alimenta gli accadimenti all’interno del campo di gioco, spazio mentale riservato al confronto e allo scontro. Questo intervallo è l’agone, in cui si può rimanere feriti o riscuotere conferme. Per gli artisti che non si limitano ad essere banali ed appagate copie di se stessi, abrasioni, colpi ed ematomi sono quisquilie all’ordine del giorno.