Isabella Nazzarri
Clinamen

Genova (I), ABC-Arte
ottobre 2017 ― gennaio 2018

Isa
Daniele Capra




Stanziali e nomadi
Gli artisti che praticano la pittura in senso continuativo, esclusivo ed identitario – cioè specchiandosi completamente nel proprio lavoro, in una modalità in cui l’opera risponde in forma libera alle proprie urgenze espressive, senza alcuna (consapevole) mediazione con altre esigenze – possono essere approssimativamente classificati in due categorie, senza peccare di essere manichei. La prima è quella degli stanziali, cioè di coloro che fanno della propria identità una costruzione unitaria, un edificio che molto spesso cresce in forma orizzontale, o, nel fortunato caso degli artisti eccellenti, verso l’alto: sono quelli le cui opere visivamente si assomigliano e nel cui lavoro si riconoscono, generalmente a posteriori, dei continui micro-cambiamenti (che spesso i critici amano suddividere, in maniera un po’ pedante, in periodi). L’altra categoria è invece quella dei nomadi, di coloro che invece amano spostarsi e non prendere fissa dimora, ma preferiscono cambiare domicilio, o, in taluni casi, arredare differenti case in modi diversi: pittoricamente la loro caratteristica somatica è quella di cambiare stile o di adottarne contemporaneamente di differenti, a spiazzare l’occhio di coloro che guardano, senza alcuna intima necessità di essere subito riconoscibili.


Esplorazioni
Isabella Nazzarri appartiene evidentemente alla seconda categoria, per la spiccata tendenza a praticare la pittura come esplorazione e a muoversi liberamente sperimentando tecniche, approcci e stili. Potremmo dire che – indipendentemente dal fatto di essere eseguita sulla tela che nella forma più liquida dell’acquarello – è la stessa azione del dipingere il suo vero soggetto: il gesto cioè di intingere il colore e trascinare il pennello sulla superficie, in una continua negoziazione tra controllo ed impulsi anarchici centrifughi. Successivamente il soggetto si manifesta, rivelandosi al nostro sguardo, sotto forma di immagine; ma si tratta di una fissità solo finale, una semplice coagulazione cromatica di stimoli che già, nella testa e nella mano dell’artista, conducono altrove, all’esplorazione successiva o ad un nuovo esperimento, senza alcuna preoccupazione di essere identificata o di essere un’equazione già compiutamente risolta nella testa dello spettatore.


Clinamen
Nel poema De rerum natura Tito Lucrezio Caro trasferisce i principi dell’epicureismo in poesia traducendo con la parola latina clinamen il sostantivo greco parénklisis, ossia la deviazione degli atomi nella loro caduta, che nella fisica materialista di Epicuro rende possibile l’indipendenza umana da ogni preordinato meccanicismo imposto dalla materia. Il concetto di clinamen garantisce quindi la libertà degli uomini da ogni forma deterministica, consentendo che la nostra volontà possa esprimersi in forma compiuta. Nella ricerca artistica della Nazzarri Clinamen spiega l’andamento creativo, fluido ed errante, caratterizzato da continui spostamenti e quotidiane deviazioni, in cui la libertà individuale è rafforzata dalla presenza di elementi di casualità dovuti alla condizione momentanea. La pratica del libero arbitrio – e, si badi bene, non solo in pittura – evita che l’artista sia prigioniera di forme concluse o di una coerenza mortifera, e permette di schivare la condizione di colui che parla usando con parole già scritte. Il clinamen è quindi la garanzia che consente di sperimentare un cammino senza curarsi troppo del luogo in cui esso condurrà o degli incontri che si possono fare.


A passeggio
Per la Nazzarri l’opera è un’esperienza, è un episodio di una passeggiata nella città in cui si possono avere nuovi stimoli e si può finire liberamente in un luogo cui prima non si aveva pensato. La semplice staticità dell’opera finita va intesa quindi come il frutto di una condizione transitoria, non dissimile a quella del flâneur di cui ha parlato Charles Baudelaire nel celebre Le Peintre de la vie moderne: la libertà del muoversi, in forma anche casuale, è infatti uno degli elementi generativi delle sue opere. E questo non accade solo quando esse assumono forma bidimensionale, ma ad esempio anche nel caso della Monadi (delle ampolle trasparenti riempite di resine colorate che vengono collocate sopra uno specchio) o delle Epifanie (delle rocce dorate realizzate in poliuretano espanso), in cui la scelta della forma e l’impiego dei materiali sono il frutto della sua costante deambulazione cittadina da flâneur. Il suo è così un viaggio, fatto cioè di continuità temporale, ma anche di infinite variazioni su cui si sedimentano la sua pittura e la sua scultura, in un approccio frutto del gesto e di una grammatica dell’agire che produce essa stessa le forme che noi vediamo condensate sulla tela o sulla materia scultorea. In senso più ampio la stessa creazione di opere scultoree/installative – che contengono le medesime istanze espressive esplorative e libertarie che sono alla base della sua ricerca pittorica – è originata da una continua ed inesauribile pratica nomadica, della quale rappresenta un’ulteriore estensione.


Condensazione
La mostra Clinamen è costruita per restituire al visitatore la modalità errante della pratica artistica di Isabella Nazzarri. Ne tratteggia l’ondivago orizzonte emotivo condensandolo in differenti modalità che riassumono le opere realizzate dall’artista nell’ultimo anno di ricerca. La Sala dell’aria raccoglie le ultime opere bidimensionali, lavori su tela, in cui gli aspetti aniconici e gestuali prendono forma su fondi cromatici stesi in modo uniforme. Segni cromaticamente più marcati si alternano liberamente a pennellate più liquide, occupando la superficie con modalità casuali ed anarchiche, frutto di un processo visivo in cui emotività e metodo si fondono. Nella Sala dello specchio, in un’atmosfera più raccolta, sono messi invece insieme i lavori tridimensionali nati dall’impiego di resine, di colore e di elementi traslucidi. Le opere, delle ampolle caratterizzate da una grande libertà esecutiva, si svelano agli occhi dello spettatore grazie anche alla presenza di uno specchio che ci mostra ciò che a prima vista è nascosto sotto il colore.
Infine la Sala dell’oro è dedicata a delle inedite sculture, realizzate con materiali sintetici, che costituiscono quasi una costellazione di rocce, metafisica e straniante. Una manifestazione di qualcosa che sfugge alla nostra conoscenza, un paesaggio aereo di meteoriti dorate che provengono da mondi lontanissimi. Forse dagli intermundia abitati dagli dei che di noi non si curano, come riferiva Epicuro?