Istruzioni per il non uso di un aggettivo
saggio, boîte magazine
autunno 2014
Istruzioni per il non uso di un aggettivo
Daniele Capra
Sin da quando ho iniziato ad occuparmi di arte contemporanea mi sono imbattuto con sospetta frequenza in quello che è difficile non considerare un uso distorto di un lemma, per la precisione di un aggettivo, in tutte le sue declinazioni. Può sembrare una banale questione lessicale, ma le parole sono veri e propri mattoni che portano con sé, oltre al proprio significato e la propria carica connotativa, il peso della loro stessa storia, della prassi dei parlanti, delle sfumature aggiunte dalle intenzioni o dai modelli ideologici di riferimento.
Eppure, oltre quarant’anni dopo la sua nascita, l’attributo «concettuale» viene usato pressoché a sproposito nella descrizione e nella lettura delle opere, tanto più perché erroneo/improprio dal punto di vista metodologico (A), scorretto storicamente (B) ed esteticamente (C). Ma il fascino che riscontra sembra sedurre in maniera indifferente artisti e galleristi, curatori o collezionisti, accomunati da percepire il valore positivo che l’aggettivo veicola, e dal fatto di essere perfetto come stereotipo che indica un lavoro di ricerca, non direttamente fatto per essere venduto. Contribuisce cioè a garantire l’idea dell’elevato tasso di contemporaneità e sperimentazione, qualità particolarmente desiderabili per un’opera, e ― in maniera non trascurabile ― a veicolare un senso di opposizione all’idea di opera come produzione artigianale dell’artista (che si riscontra sovente nella pittura o nella scultura classica).
Per capire cosa sia un’opera concettuale conviene rileggerne quello che ne è, forse anche involontariamente, il celebre ed improprio manifesto ― Paragraphs on Conceptual Art ― scritto da Sol LeWitt e pubblicato sul numero di giugno 1967 di Artforum.
(A) Un fatto di metodo
In uno dei più citati passaggi, l’artista Americano scrive: «In conceptual art the idea or concept is the most important aspect of the work. […] The idea becomes a machine that makes the art». L’idea (o meglio sarebbe dire l’ideazione) è l’elemento più importante, poiché e da questa che scaturisce l’opera: ne è cioè la parte più significativa, e potremmo dire che, nelle intenzioni di LeWitt, tutto il resto è noia. Esempi rilevanti sono ad esempio i wall drawings dello stesso artista o le frasi in lettere prespaziate di Lawrence Weiner, la cui opera è essenzialmente il dettagliato progetto esecutivo dell’opera stessa, realizzabile da chiunque abbia delle minime capacità tecniche, liberando l’artista dall’esecuzione manuale e limitando il suo lavoro all’analisi teorica. La realizzazione pratica, è un semplice atto conclusivo: «When an artist uses a conceptual form of art, it means that all of the planning and decisions are made beforehand and the execution is a perfunctory affair».
È in quest’ultimo passaggio che ha origine uno degli equivoci nell’uso della parola concettuale. Ogni opera che nasce da un progetto è, infatti, definita «concettuale», indipendentemente dalle sue implicazioni teoriche e dalla rigida compartimentazione idea/realizzazione che porta a considerare opera il progetto e non il suo manufatto. Musei e collezionisti acquisiscono infatti le istruzioni per la realizzazione e il diritto a farlo eseguire, e non l’oggetto fisico, il feticcio‐opera compiuto.
(B) Il peso della storia
Non va sottovalutato poi come l’arte concettuale, esattamente come il minimalismo, nasce in aperta reazione alla pittura eroica e lirica (si pensi ad esempio a De Kooning, Pollock e Rothko) e al chiasso visivo della Pop Art, che dagli anni Cinquanta erano le correnti dominanti negli Stati Uniti. Era quindi necessario sviluppare una poetica che fosse impersonale, che mettesse in un angolo il protagonismo e l’ego creativo dell’artista. Così LeWitt puntulizza come il concettuale «is usually free from the dependence on the skill of the artist as a craftsman». Tanto l’ego dell’artista, quanto le sue capacità tecniche, quindi, non contano.
Ai nostri giorni, benché vi siano artisti che non possiedono alcuna particolare abilità né sentano necessario possederle, il concetto di a‐personalità non risulta particolarmente attraente (come si nota ad esempio anche alla rarità di lavori a quattro mani o alla totale scomparsa di opere realizzate da collettivi). E questo si osserva tanto più in un frangente in cui l’artista è comunque costretto a lottare per non essere deglutito dal sistema e dal gran numero di colleghi. Caratterizzare la propria ricerca è diventato di importanza fondamentale.
(C) L’artista estetista
Tra le conseguenze delle tesi di LeWitt vi è la non adozione di un criterio estetico: essendo l’opera il frutto di concetti, la sua formalizzazione deve essere improntata al rigore e alla chiarezza, in una modalità che potremmo dire cartesiana. L’arte concettuale non si cura, quindi, di alcuna scelta estetica, ma di essere intellegibile. Nella vulgata corrente si è soliti usare invece la parola «concettuale» per definire opere che hanno delle estetiche sfuggevoli, ma in qualche modo predefinite. Si pensi ad esempio a molti lavori in cui si registra la presenza di objets trouvés, l’utilizzo dei quali, ai nostri giorni, ha evidentemente perso la carica eversiva che si poteva registrare nel secolo scorso. Ora tale modalità veicola anche valori di tipo estetico al punto talvolta di essere un genere, o, meglio, una semplice scelta di linguaggio.
Istruzione sintetica
Realizzare un’opera sviluppando un costrutto in un momento temporale antecedente alla sua realizzazione pratica non indica affatto che l’opera sia da ascrivere all’arte concettuale, quanto piuttosto che il suo metodo costruttivo sia contraddistinto dal progetto.
Realizzare un’opera affidando l’esecuzione ad altri non indica affatto che l’opera sia da ascrivere all’arte concettuale, ma che invece i processi esecutivi sono frequentemente complessi.
Realizzare un’opera ponendo l’attenzione a qualsiasi scelta estetica annulla o limita la sua esclusiva attenzione al concetto.
Tutte situazioni in cui il buon vecchio Sol storcerebbe il naso.