Kristian Sturi
From the light to delight
Milano, Nam Project
novembre 2018 ― gennaio 2019
Lustprinzip
Daniele Capra
Il programma del principio di piacere stabilisce lo scopo della vita. Questo principio domina l’operare dell’apparato psichico fin dall’inizio; non può sussistere dubbio sulla sua efficacia, eppure il suo programma è in conflitto con il mondo intero, tanto con il macrocosmo quanto con il microcosmo. È assolutamente irrealizzabile, tutti gli ordinamenti dell’universo si oppongono a esso; potremmo dire che nei piano della Creazione non è incluso l’intento che l’uomo sia “felice”.
S. Freud, Il disagio della civiltà, cap. II.
Nella teoria di Sigmund Freud il principio del piacere ed il principio di realtà, che si manifestano in due fasi successive dell’evoluzione della psiche, spiegano rispettivamente le dinamiche con cui l’individuo reagisce agli stimoli delle pulsioni individuali più primordiali/recondite ed il successivo apprendimento di modalità di negoziazione delle proprie istanze personali rispetto alla realtà che ci circonda. Benché lo psicanalista austriaco modifichi più volte nel corso della sua vita la struttura teorica che sta alla base di questa suddivisione, in ciascuna formulazione emerge il conflitto tra due parti, due distinti orientamenti che spingono l’individuo nella condizione difficile di mediare tra differenti (e talvolta contrapposte) tendenze.
È questa opposizione, sebbene in forma inconscia, uno delle più rilevanti – ed eccezionalmente feconda – matrici psichiche che caratterizzano l’investigazione artistica di Kristian Sturi, che nella sua pratica è continuativamente attratto dalla ricerca della sensualità della struttura superficiale dell’opera (principio di piacere), ma è anche straordinariamente attento alle complesse ragioni che motivano un’opera rispetto alle dinamiche concettuali ed intellettuali (principio di realtà). La permanenza di tale conflitto, la sua intrinseca irrisolvibilità, il dibattersi tra sollecitazioni che conducono a luoghi e scelte formali irriducibilmente diverse, è infatti uno degli attivatori interni della sua attività ed è l’origine, probabilmente, della sua ossessione per il lavoro che si estrinseca con una grande prolificità.
Germina forse da questo contrasto l’amore opposto di Sturi per materiali caldi e freddi, che sono impiegati in un’opera in modo alternativo nel momento in cui essa viene pensata e concettualizzata, generalmente nella forma del disegno. La ceramica o la pittura, che consideriamo caldi per il fatto di essere fisicamente plasmati/lavorati dall’artista (e conservare cioè la traccia fisica diretta delle sue azioni e della sua dedizione manipolatoria alla materia), convivono nella sua pratica con materiali freddi, perché di origine industriale e non direttamente originati da sue azioni (sono cioè il frutto di una mediazione con il lavoro di altri e con quello che già esiste). Raramente in una sua opera materiali – o approcci – caldi e freddi vengono combinati, poiché evidentemente sono per l’artista modalità (e mondi) inconciliabili.
Sturi è autore di grande produttività, non solo per l’intima necessità del Nulla dies sine linea (che Plinio il Vecchio attribuiva al pittore greco Apelle) condiviso da molti artisti ed intellettuali, ma probabilmente anche per una sua personale tensione/esigenza al piacere che trova motivazione più recondite. Si può intuire come, per l’artista, la generazione/ideazione di un’opera avvenga in una condizione mentale non differente da quella dell’atto eiaculatorio: è un’espulsione, un gesto di proiezione e deflusso, una liberazione dell’enorme energia potenziale accumulata nella mente durante un’inesausta azione di carica – che avviene nel quotidiano panta rei – per somma di stimoli visivi, tattili, olfattivi, intellettuali. Come può egli, in questo reiterato orgasmo, desiderare di fermarsi?