Il sandalo è femmina
Treviso, Artway
giugno 2010
Le confessioni di un voyeur impenitente
Daniele Capra
L’unico modo per resistere alle tentazione è cedervi.
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray
Lo so. Sto contravvenendo ad una delle basilari regole deontologiche di chiunque lavori nel campo dell’informazione: sto parlando di me stesso, di un argomento in cui sono dentro fino al collo, senza possibilità alcuna di ritorno e senza il distacco critico che un po’ di buon senso imporrebbe. E tra l’altro sono in completa mala fede, poiché uno dei miei obbiettivi è quello di persuadervi, di convincervi di quanto in realtà questo mio vizio sia un vezzo da coltivare con compiaciuta ma discreta malizia.
Mi riferisco a guardare. Sì, sono un guardone, uno che non smette mai di buttare gli occhi. Anzi no, preferirei usare un’altra parola, dato che questa puzza di adolescente onanista dalla mano compulsiva, o da vecchione lussurioso ed impotente di biblica memoria. E poi c’è il giudizio, più moralistico che morale, che offusca il senso della parola, e proprio non mi va giù l’idea di essere considerato un uomo bavoso che coltiva desideri indicibili. Ci sarebbe una parola, più colta, più urbana e concia: scopofilo: è colui che ama guardare, e ha un etimo a metà strada tra la filosofia ed il telescopio. Peccato però che molto spesso, per assonanza, si intenda una persona che ama – più che vedere – il dolce su e giù, il che non è in sé disdicevole, ma non centra la questione. Bisogna infatti considerare che guardare poi non ha mai fatto male a nessuno, basta starsene zitti e non essere invadenti con lo sguardo.
Ma esiste un’alternativa, c’è un vocabolo che pare più adatto alla questione. Peccato sia francese, ma suona meravigliosamente, e ha un’aura – non so perché – di raffinatezza da bordello di Belle Époque. C’è infatti solo da vantarsi ad essere un voyeur. Come Baudelaire scriveva infatti ne I Fiori del male: “i veri viaggiatori sono quelli che partono per partire”, ugualmente il voyeur è “colui che guarda per il piacere di guardare”. Spesso è una vittima inconsapevole di coloro che maliziosamente si mostrano inducendo l’attenzione, rubando lo sguardo, anche inavvertitamente.
Benché mi piaccia da morire indurre le persone a pensare male (chissà poi che idea che ci si possa fare di un voyeur che si dichiara), la mia personale forma di scopofilia è tale da lasciar dormire sonni tranquilli ai più. Amo guardare piedi femminili e le calzature che li ospitano. E per calzature intendo scarpe e sandali con tacchi di fogge differenti che mostrino, raccontino o inducano a desiderare la bellezza dei piedi che avvolgono. Una cosa insomma quasi normale, un passatempo da gentiluomini, se portato avanti con le dovute attenzioni e senza invadenza.
Non so perché mi capiti, non so perché mi venga voglia di guardare proprio lì. Non so quando sia cominciato precisamente – forse durante l’ultimo lembo di adolescenza –, so solo che smetterò quando morirò o più probabilmente quando non sarò più in grado di intendere e volere. Che poi molto spesso, più che intendere, ciò che conta davvero è volere, come sanno tutti i viziosi che abitano questo mondo. Ma questi sono solo sofismi.
Un momento preciso in cui tutto è iniziato, come detto, non ce l’ho: è tutto un complesso di cose, come magistralmente dice Paolo Conte, nella sua mitica Bartali. Ho provato da tutti i punti di vista a spiegarmene il motivo, rispolverando Donald Winnicott ed ipotizzando perfino una versione podalica della teoria dell’oggetto transizionale; il che, pur essendo privo di valore scientifico, non lo è certo di suggestione. Ma a parte le grandi capriole di pensiero tirate fuori all’occorrenza come i conigli dal cilindro, penso sia un semplice fatto di amore inconsapevole, di volontà, di fissazione. Anche di quell’emozione che intimamente è inestricabile e siamo solito chiamare pomposamente in pubblico feticismo.
Il feticismo del piede “è un aspetto della sessualità umana […] che consiste nell’intenso desiderio sessuale – prevalente o esclusivo – rivolto verso i piedi. Il piede preso come feticcio è tendenzialmente di donna, cioè un piede sensuale”, come spiega Wikipedia. E senza spingersi a prendere in considerazioni pratiche lussuriose strane e dai nomi fantasiosi (come feet kissing, feet licking, feet sniffing, feeding from feet, tickling, toejam eating, footjob, heelpopping e tutto quanto ha parole per essere espresso in forma tassonomica), mi accontento di avvertire la pulsione per cui diventa impossibile non guardare. Sono cioè una persona ricattabile, almeno visivamente.
Ma il voyeur essenzialmente si accontenta di quello che la realtà regala ai propri occhi, poiché ama che la fantasia sia coltivata come tale. Non è necessario possedere in qualche forma i piedi di quella donna che dondola vestendo dei tacchi vertiginosi, quanto poterli desiderare senza alcun limite, come spiega per bene Junichiro Tanizaki in quel meraviglioso racconto quale è il Diario di un vecchio pazzo, in cui un anziano trova la morte nella follia del desiderio dei piedi della propria giovane nuora. Anzi, chi ama guardare, molto spesso lo fa in una forma gratificante nei confronti del soggetto cui sta prestando attenzione: sarebbe intellettualmente disonesto non farlo, mentre resistere sarebbe inutile stupidità, ammantata anche da una buona dose di disonestà intellettuale.
Amo i tacchi. I tacchi, anche quando sono vertiginosi a tal punto da mettere in difficoltà posturale, mettono inevitabilmente la donna in una condizione di maggior visibilità, la elevano. Coloro, come me, che amano la bellezza della donna anche nella sua forma più segretamente animale, non possono sottrarsi alla sfida di vederla apparire nella sua imperiosa statuarietà, in forma prorompente. Non è per tutti poi camminare con scarpe che sfidano la gravità, ma consiglio vivamente di rimediare usando le calzature in situazioni da boudoir: nell’intimità domestica la fantasia va lasciata libera di correre. E con un paio di sandali di Louboutin dal fondo rosso fuoco, calze a rete e unghie laccate, tutto il resto è noia.