Silvano Rubino
Transiti
Fondation Valmont, Palazzo Bonvicino, Venezia
giugno 2022
Tempo. Circolare Lineare Universo
Daniele Capra
Prima della grande rottura novecentesca, dovuta sia al prepotente irrompere delle nuove teorie scientifiche che alla spinta di più articolate concezioni filosofiche, la tradizione occidentale si è sempre dibattuta tra due opposte concezioni del tempo: quella circolare e quella lineare. Se la prima nasce evidentemente a partire dalla regolare ciclicità causata dalla stagionalità degli eventi naturali, la seconda è invece determinata da una prospettiva religiosa animata da una lettura finalistica. La prima – che può essere sintetizzata graficamente dall’uroboro, il serpente disposto circolarmente che si mangia la coda – ha elaborato un’idea di divinità che sostanzialmente poco si cura della presenza degli uomini. La seconda – esemplificata visivamente dalle immagini di teschi o dell’apocalisse – ha invece portato a una concezione di un dio che alla fine dei tempi costringerà gli uomini a un redde rationem (l’idea moderna di progresso è in parte figlia di quest’ultima). Le due modalità si sono progressivamente integrate negli ultimi secoli diventando nell’Occidente in qualche modo congiunte e complementari, aspetto che tuttora avvertiamo sincreticamente nella vita di tutti i giorni, esperendo sia la circolarità delle stagioni, che la misura del tempo universale collettivo, unico e monodirezionale, di derivazione giudaico-cristiana e poi newtoniana.
Transiti è un’installazione multicanale costituita da tre video pensati per essere visti simultaneamente e in loop, in uno spazio idealmente quadrato o rettangolare nel quale ciascun lato viene occupato da una proiezione, consentendo allo spettatore una visione immersiva. In tale lavoro Silvano Rubino si interroga sul senso del tempo, sul suo fluire e sulla percezione che di esso abbiamo, mettendo in scena una sorta di simposio in cui filosoficamente si confrontano differenti modalità di percepire il tempo e di relazionarsi con le sue concrete manifestazioni. Transiti, il cui titolo evoca l’idea di flusso, di attraversamento, di movimento temporaneo, ma anche di fugace labilità (come non pensare al «sic transit gloria mundi»?), è formato dai video Passage, Eros e Thanatos e Chronos, che sono elementi autonomi di un racconto costituito a più voci. L’opera è nei fatti un vero e proprio polittico tripartito – non dissimile da quello delle pale di altari medievali popolate da santi, martiri o eminenti figure religiose – che documenta con tre exempla eterogenei modalità discrepanti di vivere il tempo, le quali si manifestano allo spettatore attraverso l’adozione di differenti linee narrative.
Passage è la cronaca di una camminata in un bosco realizzata in soggettiva dall’artista, che inizia mentre l’ambiente è innevato e silente per poi proseguire, dopo aver percorso un ponte dal quale si vede e si sente un torrente, nei medesimi luoghi nella stagione primaverile. Se nella prima parte del video, in cui si sentono solo i passi sul terreno, la natura sembra dormire sotto la cortina di neve (gli alberi sono spogli e rinsecchiti), nella seconda si avverte il rumoroso fragore del risveglio in un continuo e imponente gorgoglio di acqua. Il cambiamento tra le due condizioni avviene, grazie all’uso della dissolvenza, mentre l’artista transita su un ponte che oltrepassa un ruscello: è un elemento di passaggio – e di unione tra parti opposte – collocato al di sopra un ulteriore elemento di passaggio che raccoglie il flusso delle acque che scorrono a fondovalle. In dissolvenza nel video appare, di tanto in tanto, una figura spettrale che mai si palesa completamente: è il protagonista del video cui Passage, che esce come un fantasma dai confini del proprio rettangolo.
Eros e Thanatos è una meditazione sulla morte e sulla caducità che avviene attraverso un’azione scenica ambientata in un ambiente chiuso e in riva al mare, nella quale un uomo maturo, vestito di nero e in maniera essenziale, si scambia un cofanetto trasparente con una giovane e avvenente donna in abito da sera. Sono seduti agli antipodi di un lungo tavolo e maneggiano in maniera ieratica gli oggetti, negli stessi momenti in cui avviene l’attraversamento del ponte in Passage. Non è evidente cosa i cofanetti contengano (dei doni?, delle opere dello stesso artista?), ma si avverte la solennità del gesto che allude simbolicamente allo scambio. Dopo un sentito discorso sul senso del tempo rivolto verso lo spettatore («il presente è l’unica coniugazione del tempo»), l’uomo è inquadrato in riva al mare mentre gioca a scacchi contro la donna, la cui presenza è solo evocata dalla sua mano mentre muove dei pezzi. La scacchiera, il campo simbolico e feroce del confronto, viene poi abbandonata alle onde. Le due figure incarnano il principio della morte (il signore maturo) e quello di eros (la giovane donna) e potrebbero essere intese psicoanaliticamente come proiezioni dello stesso Rubino di cui si sentono i passi nel bosco nell’opera adiacente.
Chronos è un video a inquadratura fissa e senza suono sulla parola «TIME» realizzata in ghiaccio, la quale, gradualmente ma in maniera inesorabile, si scioglie diventando acqua. La trasformazione si avvia lenta all’inizio, mentre appare progressivamente sempre più rapida. Nella casualità del processo la superficie superiore si assottiglia e si aggruma, piegandosi plasticamente, prima di liquefarsi del tutto sulla superficie.
Dal punto di vista diegetico Passage ed Eros e Thanatos sono temporalmente sincronizzati con il medesimo minutaggio: le due linee narrative, pur indipendenti, sono cioè correlate e sono frequenti i rimandi incrociati. Lo sviluppo di Chronos, invece, è svincolato dagli altri video, dei quali dura meno della metà, aspetto che porta lo spettatore a vederlo completamente più di una volta; inoltre, dal punto di vista del racconto, è del tutto autonomo: non vi sono connessioni se non dal punto di vista filosofico. Nel polittico medievale Chronos sarebbe infatti il pannello centrale, occupato da una madonna in trono o da una crocifissione accompagnata da un cranio sul terreno (soggetti ai vertici dell’iconografia religiosa e di per sé indipendenti), mentre gli altri due lavori sarebbero i pannelli laterali che raccontano la vita di martiri o mostrano alcuni dei Padri della Chiesa. Chronos è cioè assoluto e metafisico, quindi in qualche modo sciolto dalla narrazione/presenza umana. Al contrario la coppia Passage ed Eros e Thanatos sono racconti di vicende che mettono simbolicamente al centro proprio le persone e il loro corpo, nell’azione del cammino, nel linguaggio, della differenziazione e nella possibilità di costruire fenomeni di opposizione/contrasto.
Nel suo complesso Transiti è un compendio di differenti modalità di percepire il tempo. Passage, con la forte presenza della natura e del paesaggio in due opposte condizioni climatiche, presenta un tempo-circolare, caratterizzato dalle stagioni e del ripresentarsi delle medesime condizioni: l’inverno porta alla primavera, la quale, a sua volta, conduce all’inverno, poiché, come scrive Friederich Nietzsche in Così parlò Zarathustra, «tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e noi siamo stati già, eterne volte, e tutte le cose con noi […]. Tutti questi anni sono a se stessi identici, nelle cose più grandi come nelle più piccole, sicché anche noi, in ogni anno grande, siamo a noi stessi identici, nelle cose più grandi come nelle più piccole». La dinamica è quella della ciclica e continua alternanza/contrapposizione tra stati differenti a cui non c’è fine, dato che «tutto va, tutto torna indietro; eternamente ruota la ruota dell’essere. Tutto muore, tutto torna a fiorire, eternamente corre l’anno dell’essere». E vengono alla mente anche i dubbi che Cesare Pavese manifestava ne Lo steddazzu: «Val la pena che il sole si levi dal mare e la lunga giornata cominci? Domani tornerà alba tiepida con la diafana luce e sarà come ieri e mai nulla accadrà». In maniera analoga non è chiaro dove stia andando l’artista, a quale luogo egli sia diretto: il suo deambulare è peregrinare senza uno scopo, in balia del tempo «che determina la generazione, la distruzione e l’esistenza dei mondi» (Anassimandro, DK12A11).
In Eros e Thanatos il tempo sembra manifestarsi in forma lineare, ma come vivo conflitto tra tendenze. Nel video, simboleggiate dalla donna e dall’uomo maturo, sembrano infatti psicanaliticamente convivere delicate pulsioni erotiche, mirate a «convogliare la sostanza vivente in unità sempre più grandi», insieme a intense pulsioni di morte, «che si oppongono a questa tendenza e riconducono ciò che è vivente allo stato inorganico» (Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi). È dall’azione congiunta di entrambe che scaturisce un tempo-contrasto, nel quale, come scrive Eraclito, «il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte re» (DK22B53), e il tempo stesso è, nella sua essenza come «un bambino che gioca lanciando i dadi» (DK22B53). E, proprio come per il filosofo presocratico, il tempo-contrasto in questa opera di Rubino è incarnato in un gioco in cui si confrontano due persone che non possono essere, fino in fondo, coscienti o responsabili di ciò che accade. La scacchiera finisce nell’acqua e i pezzi perdono il loro valore e la loro funzione: l’uomo e la donna sono, in buona sostanza, vinti e sopraffatti dal caso, più forte di loro. I due contendenti sono così entrambi sconfitti.
Chronos testimonia invece un tempo-universo caratterizzato da una freccia direzionale, e quindi insieme inesorabile e irreversibile, e che in buona sostanza non si cura della presenza umana. È un tempo-universo proprio della fisica, dotato però di una scala dimensionale che sfugge alla nostra esperienza ordinaria. La fisica ci avverte infatti del costante incremento di entropia (cioè il grado di disordine di un sistema), e anche di come il tempo sia in qualche modo deformabile da altre variabili, come per esempio la massa, rendendo l’orizzonte degli eventi non sempre facilmente comprensibile. Chronos è così indicativo sia di un tempo-universo che conduce alla semplice conclusione del mondo (destinato a un progressivo raffreddamento dovuto alla sua morte termica), che di una visione escatologica in cui ci si può interrogare sui destini ultimi del nostro agire. Coesistono, in questo modo, la salda e scientifica consapevolezza di una linearità non infinita, destinata a spegnersi, con un inquieto memento mori, che forse prelude, più in là, all’apocalisse.