Stratifications
Giancarlo Dell’Antonia, Igor Eškinja, Florence Girardeau, Bruno Kladar, Marie Lelouche
Parigi (F), Galerie Alberta Pane
giugno ― luglio 2010
Un groviglio di strati
Daniele Capra
Uno della strategie ineludibili cui i pianisti ricorrono per imparare la musica è lo studio dello strumento a mani separate. Non ci sono alternative: mano destra e sinistra – che raramente hanno tessuti musicali naturalmente accomodanti avendo molto spesso funzioni diverse – non devono essere apprese simultaneamente. L’esecutore deve infatti sedimentare nella propria mente e nelle proprie mani differenti movimenti, differenti posizioni, per poi mettere insieme le due tracce solo successivamente. Il processo grazie a cui viene costruita un’azione complessa, come produrre della musica, avviene cioè per una forma di automatismo in cui vengono sovrapposti fino a coincidere istanti temporali maturati in momenti differenti. Ad eccezione di quella aleatoria, tutta la musica (compreso il contrappunto e la musica jazz) vive questa condizione di ricomposizione di ciò che è capitato in momenti temporali precedenti.
Più in generale la dinamica di stratificazione è originata dalla complessità del reale e dal perdurare delle nostre azioni oltre un determinato istante. La stratificazione testimonia cioè il fatto che il tempo esista e che stia incessantemente scorrendo, come similmente ci spiega il principio di entropia con successivi incrementi del grado di disordine dell’universo: entrambe sono cioè caratterizzate da un valore sempre crescente.
La disposizione spaziale e temporale degli elementi sviluppa strutture visive e concettuale dalle forme differenti. Uno degli esempi che facilmente troviamo in natura è ad esempio la grafite ed il diamante, che sono originati da differenti combinazioni degli stessi elementi di partenza: l’uno serve ad esempio per le matite, l’altro per i gioielli più preziosi: la loro differenza sta solo nell’essere disposto a strati o in più ordinate struttura cristalline. Caos ed ordine (e tutti i gradi intermedi tra gli estremi) sono cioè le possibilità in cui ogni forma di stratificazione può avvenire.
Ma la struttura a più livelli non è solo prerogativa degli elementi naturali, ma è diventata anzi una delle più ricorrenti dinamiche messe in atto dall’uomo a partire dalla modernità, che possiamo senza dubbio dire essere caratterizzata dal suffisso -multi. Gli oggetti che ci circondano, ma anche il modo in cui lavoriamo o gestiamo le nostre relazioni sono infatti improntate all’incrementare stratificazioni differenti, con l’effetto che ora viviamo in un mondo a sandwich: la nostra vita si caratterizza come una sovrapposizione a più livelli di istanze, visioni, desideri, frustrazioni, luoghi e persone. Ma anche nel computer abbiamo sempre più finestre aperte nello stesso momento e il lavoro che facciamo è necessariamente per stratificazione. Siamo cioè multitasking, abituati a seguire contemporaneamente molteplici attività, a condurre differenti linee di pensiero ad altezze eterogenee, senza che questo ne implichi la commistione né tantomeno la precluda. Muoversi agilmente gestendo la complessità è evidentemente il pane quotidiano dell’uomo moderno ed è diventata una delle maggiori ansie di quello postmoderno. L’effetto è cioè quello di un mondo in cui le informazioni non hanno più una unica fonte, una origine mono, ma circolano sono al contrario per continua sovrapposizione, quasi sia possibile aggiungere a ciascun elemento infiniti addendi, talvolta di peso quasi nullo: ciò ci spinge in quella condizione ondivaga e liquida di cui parla Zygmunt Bauman, che ci mette nella situazione di essere noi stessi come un browser internet che costantemente si aggiorna con la nuova versione della pagina.
In modo parallelo il depositarsi incessante di materiale crea accumulo e sedimentazione ad alimentare la stratificazione, come capita ai nostri hard disk affollati di dati o alle librerie in cui è sempre più difficile trovare spazio per l’ultimo volume acquistato. Il continuo ed inesorabile depositarsi di oggetti ed immagini ci permette, ad intervalli irregolari, di confrontarci con il passato ignorato e dimenticato per distrazione, o con il futuro che deve ancora trovare il proprio posto. In particolare siamo sempre più in grado di avere con noi pezzi e strati completi in cui abbiamo – anche inconsapevolmente – lasciato un’impronta, mentre la nostra identità si costruisce nella selezione, nei pochi particolari che davvero contano dei quali conserviamo intimamente memoria. La stratificazione sembra così mostrare la sua doppia faccia. Divisa tra l’istantanea e molteplice fluidità del divenire, dell’aggiornamento costante nell’hic et nunc, e l’accumulo spropositato di esperienze ed informazioni, di cui, per leggerezza o necessità, rifiutiamo ogni consapevolezza.
Gli artisti
Daniele Capra
Giancarlo Dell’Antonia
I lavori di Giancarlo Dell’Antonia della serie MCSL2 (Modernity) nascono dall’osservazione del proprio tavolo di lavoro e del continuo cambiamento degli oggetti collocati. Libri, riviste, lettere e attrezzi da disegno si accumulano e si spostano senza soluzione di continuità sul piano, poiché costantemente vi sono nuovi elementi che generano cambiamenti nella scala delle priorità o nel layout visivo. L’artista ha riprodotto la stessa dinamica in forma digitale accumulando e collocando a più livelli differenti immagini del tavolo, in maniera tale che ogni oggetto perda la propria funzione e sia semplice elemento in grado di testimoniare uno stato del continuo processo di modificazione. Si sovrappongono così nell’immagine tanti ritagli, tanti piani temporali, ognuno dei quali conserva un’istantanea di quell’attimo di transizione ormai archiviato e di quelli che lo hanno proceduto o seguito.
Igor Eškinja
Igor Eškinja ama mescolare e confondere piani visivi differenti. Le sue stratificazioni nascono dalla somma di pezzi di realtà e sovrastrutture rappresentative che rendono possibili letture stranianti, basate sull’illusione. Eškinja costruisce rebus che mettono in difficoltà l’osservatore o le inducono ad essere autoironico, a ridere della propria condizione transitoria e fallace. Se fidarsi delle proprie percezioni è talvolta l’unica ancora di salvezza, l’artista croato ci da un monito ad esserne consapevoli, a prestare molta attenzione: il nastro adesivo, la polvere o il filo elettrico riescono infatti a sedurci come le sirene di Ulisse. Non rimane che lasciarsi conquistare dal canto dalle creature marine.
Florence Girardeau
Florence Girardeau trova su internet le immagini che utilizza per realizzare i propri collage. La rete delle reti informatiche è il punto di partenza per un processo in cui perde la propria funzione iconica e viene smaterializzata, ritagliata a strisce in cui nulla è riconoscibile. Le sue opere testimoniano così la quotidiana morte delle immagini ma nel contempo sono intelligentemente in grado di generare nuove visioni, nuove orografie in cui montagne immaginarie sono create, a partire da mille elementi differenti che si perdono nell’indistinto. Il vetro li raccoglie e ci rende possibile una visione in trasparenza. Ma le immagini sono così nella nuova vita semplicemente strati, porzioni di qualcosa che non ci è dato a capire ed in cui ci si perde.
Bruno Kladar
Il processo di scarnificazione della tela che mette in atto Bruno Kladar è in sé violento e spirituale. L’artista infierisce sulla tela, sulla superficie che ha raccolto pigmenti ma anche molte immagini che appartengono storia dell’arte. La violenta e la ama, riducendola a brandelli ma anche facendola vibrare in forme micro in grado di comporre un mosaico a più livelli visivi. Il processo si sviluppa dalla sedimentazione dei pezzi nel proprio studio: la tela cade a terra, in disgrazia, per poi risorgere in una composizione astratta, in cui il peso viene cancellato dalla semplicità della forma. E quei frammenti, in un nuovo ordine, danzano sotto i nostri occhi come delle margherite in un campo d’erba.
Marie Lelouche
Marie Lelouche porta all’estremo la possibilità che uno stampo ha di riprodurre fedelmente un pezzo di realtà. Le porzioni di zigomi che lei ha realizzato perdono infatti progressivamente il potere magico di copiare i particolari anatomici della persona e ci mostrano invece come dietro ogni copia vi sia una porzione di infedeltà impercettibile. Gli stampi infatti, ad ogni successivo impiego, sono meno fedeli, ed i suoi occhi assomigliano sempre di più a qualcun altro. Ogni stratificazione materica allontana visivamente la copia dal modello, ma quasi non ce ne accorgiamo. Ogni impronta di mondo degrada così in un residuo, in una scoria, in un vuoto.