Superficial
Tiziano Martini, Alberto Scodro, Eugenia Vanni

Verona (I), Studio La Città
febbraio ― marzo 2016

La superficie come medium
Daniele Capra




Sostanza e apparenza, cioè profondità e superficie. È frequente dibattersi tra questi due estremi, sin dalla nostra infanzia, quando persone più grandi e più autorevoli di noi ci ammoniscono a scoprire ciò che sta lontano dai nostri occhi, che giace ad un livello non istantaneamente visibile. Per l’uomo occidentale andare in profondità convoglia indiscutibilmente dei significati ulteriori rispetto al fidarsi del proprio sguardo, alla probabilmente fallace visione frutto dei sensi, la cui capacità di indagine rispetto il mondo è troppo poco stimata e abbassata al rango di sensazione.

A questa modalità di lettura hanno contribuito evidentemente vari fattori. Innanzitutto (1) la concezione morale ascetica del mondo antico mirata al controllo o al rifiuto del piacere – propria di molta filosofia della tradizione greco-romana e giudaico-cristiana – che porta al dubbio o al rifiuto degli stimoli, anche conoscitivi, che provengono dai sensi. Poi (2) la tradizione cristiana medievale la quale, seppur con varie sfumature nelle sue diverse articolazioni, ha ereditato dal mondo antico la condanna al piacere sensibile, poiché non finalizzata alla ricerca dell’elemento spirituale e divino. (3) Ultima, ma non per importanza, la tradizione filosofica e scientifica che deriva da Cartesio, e di cui inevitabilmente siamo figli, che ha praticato uno stretto dualismo opponendo res cogitans a res extensa, con una netta predilezione gnoseologica per l’aspetto cognitivo mentale a quello materiale dei sensi. Ad una lettura più accorta, la (disprezzabile) supposta superficialità dei sensi ci conduce così ad un imbuto di carattere etico, suggerendo come sia auspicabile fidarsi della propria mente e di ciò che è prodotto dalla logica anziché dubitare dei sensi. E tale precetto, che affida alla mente il primato conoscitivo, è anche uno dei presupposti che stanno alla base del «cogito ergo sum», la cui portata è andata ben al di là delle disquisizioni tra filosofi.

L’azione combinata di questi fattori ci ha portato a considerare il dualismo profondità/superficie in favore del primo elemento, trascurando le potenzialità dell’ultimo. Risulta invece particolarmente significativo non considerare la superficie in opposizione alla sostanza, a ciò che realmente caratterizza un oggetto, come se, in ultima istanza, quella esterna fosse la parte meno importante e nobile di un manufatto o la meno stimolante di un processo. Se frequentemente la superficie viene letta come tentativo furbesco di catturare l’attenzione e lo sguardo di chi non è nella condizione di possedere gli strumenti per leggere un fenomeno, per entrarne realmente in profondità, tale approccio conduce a considerare la superficie come area non degna di interesse, poiché parte di rilevanza esclusivamente cosmetica; incapace cioè di andare oltre una ricercata, ruffiana, piacevolezza. Al contrario si consideri le capacità che essa possiede di portare informazioni di rilievo di carattere non meramente utilitaristico, quali ad esempio la storia di un materiale, le sua qualità chimico-fisiche o tattili, l’uso che ne è stato fatto, al pari a quanto può accadere ad una roccia analizzata da un geologo. Si scopriranno così, come evidenzia Giuliana Bruno in un recente saggio mirato ad analizzare le dinamiche di superficialità [*], il suo essere mezzo, aspetto «che rimanda alla sua condizione di medietà e alla qualità del divenire, come un elemento connettivo, diffuso o avvolgente. Come materia che avviluppa consentendo che le impressioni siano conferite ai sensi, un medium è una vivida espressione del contesto, la sua trasmissione e la sua memoria».

Le opere di Superficial mirano a superare tale l’approccio manicheo proprio della nostra cultura raccontando come la superficie possa essere l’oggetto della ricerca artistica o quanto meno il campo di battaglia dentro cui l’artista si muove. Ricorrendo a modalità processuali e pittoriche, a dinamiche di ordine concettuale, all’azione chimica, cromatica, termica, la superficie diventa infatti essa stessa medium, che può assurgere nel contempo ad essere obbiettivo e metafora della pratica artistica, ma anche meta-narrazione che ne spiega ed argomenta le ragioni. Il vitale e incessante lavoro sulla/della superficie è così il diario ultimo di una metamorfosi che avviene grazie al pensiero e alla mano dell’artista, capace di proporre vie alternative per superare l’impasse, di controllare le variabili ambientali, di sfruttare a proprio vantaggio casualità imprevedibili. Nel suo dipanarsi materico, la superficie è così la ragione d’essere della ricerca artistica, il centro di un’azione che produce e registra sulla propria materia uno slittamento di senso, un accadimento, uno spostamento, un trapasso. Trasformazioni che conviene cogliere non solo con lo sguardo.

Tiziano Martini
Tiziano Martini mette in pratica una pittura esplorativa in cui la funzione del colore è accessoria rispetto al piacere esecutivo dell’artista, alla realizzazione manuale dell’opera. I lavori Untitled presentati in galleria sono infatti caratterizzati da un continuo e rigoroso aspetto processuale in cui si alternano azione ed attesa, tentativo e verifica del risultato. L’artista sovrappone sulla tela differenti livelli di pigmenti acrilici, direttamente con il pennello o più frequentemente attraverso l’uso di monotipi, di matrici che, opportunamente colorate, consentono alla materia pittorica di stratificarsi come successive impronte. La tela trattiene così elementi casuali, lo sporco dello studio o i residui di opere precedenti, che diventano variabili aleatorie che l’artista usa/dispone liberamente, in una continua improvvisazione jazzistica.

Alberto Scodro
La pratica artistica di Alberto Scodro è caratterizzata da un doppio filone di indagine: uno rivolto all’architettura degli spazi, rispetto ai quali egli scova ed evidenzia linee di forza e aspetti di tensione ideale, l’altro verso la materia stessa, che ama interrogare e mettere alla prova nelle sue proprietà alla ricerca dei suoi limiti d’utilizzo. Nella serie Autumn egli sviluppa una ricerca in cui vengono analizzate le capacità generative che nascono dalla mescolanza di elementi differenti, quali sabbia, vetro, ossidi. L’artista indaga infatti le possibilità combinatorie della materia cuocendo ad elevata temperatura in forno industriale materie prime di diversa origine, che subiscono un processo chimico-fisico simile alla vetrificazione. Scodro realizza così delle sculture alchemiche da parete, lastre in cui la superficie è ruvida come la roccia, ma fragile e colorata come la porcellana.

Eugenia Vanni
La ricerca artistica di Eugenia Vanni è caratterizzata da una pratica concettuale poliedrica, che declina con modalità e media differenti, spaziando agilmente dalla pittura all’installazione. L’artista impiega frequentemente, risemantizzandole ed attualizzandole, tecniche pittoriche della tradizione italiana del Quattrocento e Cinquecento. Nei dittici Ritratto l’uno dell’altro Vanni esplora concettualmente le potenzialità mimetiche della pittura fino a giungere agli esiti più estremi. Grazie all’utilizzo dell’olio e di differenti ricette di imprimitura della tela, l’artista arriva a ritrarre su lino l’immagine del tessuto di cotone e viceversa. Ne esce così un doppio ritratto, essenzialmente meta-pittorico, in cui il soggetto è la pittura nella sua essenza materiale/materica, il suo essere palinsesto che accoglie l’immagine potenziale dell’altro. In un chiasmo logico ciascun elemento del dittico è così negazione della propria identità e nel contempo rappresentazione del suo contrario.




[*] G. Bruno, Surface: Matters of Aaestetics, Materiality and Media, The University of Chicago Press, London, 2014, p. 6.