Vincenzo Rusciano, Kristian Sturi, Ivano Troisi
Uroboros
Milano, Galleria Alessandro Albanese
marzo ― maggio 2019
Uroboros
Daniele Capra
Uroboros raccoglie il lavoro di tre artisti la cui ricerca è caratterizzata da una forte matrice di speculazione interiore che ha fatto propri i temi della mutazione, della metamorfosi e del cambio di stato. Tracce di tale riflessione si registrano sia nella genesi del processo ideativo/immaginifico che precede la realizzazione, che nelle modalità in cui l’opera prende forma e si manifesta al mondo, sviluppandosi per germinazione, propaggine, salto inatteso o repentino cambio materiale.
Sin dall’antichità l’uroboros, l’animale simbolico a forma di serpente o di coccodrillo che morde la propria coda, è stato impiegato per rappresentare simbolicamente l’eternità e la continuità del cosmo, grazie al ciclo inesausto di cambiamento dovuto alla dinamica capo-coda. Ma il serpente che si mangia la coda è anche emblema dell’avvicendarsi di condizioni opposte, quali ad esempio la morte e la rinascita, il buio e la luce, il femminile ed il maschile, i cui limiti continuamente si generano e ridefiniscono. Inoltre nel pensiero alchemico la sua immagine allude allegoricamente alla palingenesi e al ripetersi dei cicli che avvengono grazie all’aumento della temperatura, all’evaporazione, al raffreddamento e alla condensazione dei liquidi, che vengono impiegati nella raffinazione delle sostanze.
In particolare nell’opera di Vincenzo Rusciano la trasformazione, la necessità di una mutazione è testimoniata dall’impiego del calco e della modellazione incompleta, dalla traccia di una presenza, di una pelle, ma anche dall’abbandono di un volume verso ulteriori forme, che indica un reale distacco dall’origine e un vero e proprio cambiamento di stato possibile.
I lavori di Kristian Sturi mettono lo spettatore nell’impossibilità di una visione statica e definitiva, da cui percepire/leggere le superfici: è solo cambiando posizione, osservando muovendosi, spezzando l’unità dello sguardo, che la materia ed i volumi si manifestano nella loro totalità, in un gioco di sfida in cui non si presentano mai le medesime condizioni.
Le opere di Ivano Troisi sono invece tracce di un cambiamento avvenuto, poiché sono registrazioni di uno stato particolare della metamorfosi, colto nella sua malinconica fragilità, ma anche nelle sue potenzialità proiettive. I suoi lavori preludono così ad un’ulteriore evoluzione, in cui gli elementi (naturali o artificiale) si possono ricombinare seguendo la celebre legge, enunciata da Lavoisier, secondo cui “niente si crea e niente si distrugge, ma tutto si trasforma”.