Reed Young
See you at Coney Island

Vittorio Veneto, Festival Comodamente, settembre 2012
Treviso, Sede della Provincia, gennaio 2013

Che meravigliose rasoiate
Daniele Capra




Ockam nel taschino
Ho sempre invidiato la capacità che hanno molti autori nordamericani di stare nel presente, senza il peso di stratificazioni secolari, di tradizioni del passato, di tutti quegli inutili fardelli alle spalle che troppo frequentemente servono solo a compiacere i modesti maestri, che in cuor loro si ostinano a credere che la storia (anche quella della letteratura, della filosofia, eccetera eccetera) serva davvero a qualcosa. Chi ha letto un qualsiasi libro di Foster Wallace probabilmente conosce meglio il presente di tutti i dotti lettori con gli scaffali zeppi di autori del passato con l’a maiuscola. Lo so, sto esagerando, e difficilmente questo può essere dimostrato; eppure ho la convinzione che l’approccio americano/anglosassone fornisca matrici interpretative di una disarmante sottigliezza che sfuggono a molte persone del vecchio mondo. Contrapposta ai pur sapidi pistolotti di chi si guarda indietro, quella feroce sottigliezza di essere sempre nel presente, nel qui ed ora, diventa un’arma per capire il nostro mondo affilata e tagliente come non mai.
Reed Young è uno di quegli autori che ha al massimo grado sviluppato questa capacità di concentrazione, di essere a proprio agio nella complessità proprio per il fatto di esserne parte. Non c’è lo sforzo ed il distacco dovuto di chi inforca gli occhiali per interpretare ciò che gli sta dinnanzi, ma, al contrario, egli è animato da un’instancabile necessità di raccontare quello che lo circonda: ogni immagine – oltre al suo carico di valore estetico, politico, sociologico, umano – è cioè un momento in cui viene condensata una storia degna di essere raccontata. Libere quindi di dover esser qualcosa di diverso, le sue immagini paiono quindi esistere a priori, senza la necessità di avere dei complessi sistemi che le sostengono. Sono cioè pure, al grado zero: dispositivi di senso visivo dotati di tutte le qualità di (auto)sussistenza, senza inutili sovrastrutture che possano far sviare l’osservatore dalla propria funzione di essere, prima di tutto, homo videns.
Risulta così inutile trovare ragioni o realtà intrinseche al di fuori delle logiche dell’immagine stessa. Il fotografo americano ha un rasoio nelle proprie mani, che usa per spolpare quei pezzi di realtà e offrirli ai nostri occhi con il loro carico di forza, bellezza, storia individuale. Chi guarda lo sappia, che quei brandelli sono taglienti come punte di diamante.


Wunderkammer a Coney Island
Una donna anziana porta a spasso il cane in uno strano passeggino. Lo porta forse al parco divertimenti o a prendere l’aria ricca di iodio. A breve distanza il ragazzo dei pop corn guarda la scena, stanco di stare al lavoro senza pausa da oltre due mesi, mentre il bagnino, rigorosamente palestrato ed ipertonico, controlla il mondo dall’alto del suo trono con l’ombrellone. Pare il testo di una canzone degli Anni Ottanta estiva e strampalata, ed è invece il metafisico story board delle immagini riprese da Young sotto il sole di Coney Island, il parco divertimenti appena fuori New York. Un luogo in cui la gente va per incontrarsi, per distrarsi, per prendere un po’ d’aria pulita dall’oceano, dove il fotografo americano ha trovato degli uomini così strani o semplicemente così eccessivamente normali da apparire curiosi.
Sono persone in attesa quelle ritratte da Young, in procinto di divertirsi, di fare un giro in giostra, di ballare, o di osservare – come fanno i poliziotti e il bagnino – che nulla di strano accada. Sono cioè immagini di un’umanità sfaccettata che si rappresenta in primis con l’eccentrica foggia dei propri abiti e con la propria fisionomia che racconta provenienze ed età molto differenti. In bilico tra serio e faceto, tra realistica rappresentazione e caricatura, successivamente queste immagini fungono da inedita wunderkammer della humana natura, e sono altresì uno spaccato attento e pungente della società americana, la società che più di tutte sa costruire miti, sogni, innovazione, e – come negarlo – meraviglia.


La vita è meravigliosa
See Yout at Coney Island nasce come incarico affidato a Young, da parte del Festival Comodamente, per realizzare la campagna e immagini dell’edizione il cui tema principale è la meraviglia. Il fotografo ha scelto di ritrarre alcune delle persone che popolavano la spiaggia ed il parco divertimenti il giorno dell’Independence Day e nel fine settimana successivo. Le persone che popolano quelle immagini sono cioè, oltre che degli individui, evidentemente dei tipi, sia nell’accezione di “modello appartenente ad una serie”, che nel senso di “personaggi strampalati”. Le due definizioni collimano, qui, e la bravura di Young è quella di mostrarlo senza fronzoli, senza giudizio o supponenza, ma con l’incredibile capacità di essere abile regista di attori di strada. Regista che non rinuncia però alla forza di una tersa luce fiamminga con cui illuminare i volti, e nemmeno a dirigere l’attore, a dargli indicazioni, in una scena che pure è il proprio ambiente naturale in cui vive e si muove.
Ma chi guarda può non pensare a niente di tutto questo. Può tranquillamente capire tutto, come suggeriva Andy Warhol, solo guardando le figure. La forza dell’immagine parla – e forse canta – meravigliosamente al di sopra di ogni pensiero.