Nebojša Despotović
Between the devil and the deep blue sea ovvero freie Kartoffeln

Trento, Galleria Boccanera
marzo ― maggio 2018

Un posto di riguardo
Daniele Capra




Conosco Nebo da oltre un decennio. Prima all’atelier F all’Accademia di Venezia; poi alla Bevilacqua La Masa, insieme ai fioi, coi quali si parlammo per ore di dirty sanchez e felching: due modalità non ordinarie di usare il pennello e fare action painting. Abbiamo dibattuto spesso sulle questioni della libertà e del ruolo dell’artista: a Venezia, poi a Berlino, ma anche nella balneare e ciabattosa Caorle, o a Roma, dove Cucchi, nel suo studio, ci tirò matti per un quarto d’ora parlando del “documento”. Personalmente immaginavo che Enzo ci proponesse un manifesto o qualcosa di pubblico, e nessuno dei due voleva dare l’impressione di non aver capito una banana. Comprendemmo solo dopo, e ogni tanto ci scherziamo sopra, che lui chiamava in questo modo il “catalogo”.


Nebo è sempre stato un teorico. Nel senso che ha una teoria per raccontare quello che fa (l’artista) e quello che è (un artista), con tutte le evoluzioni del caso dovute alla consapevolezza, alla maturazione, al fatto di sentirsi parte di qualcosa difficilmente spiegabile coi fioi – come Thomas, Valerio, Aleksander, eccetera – con cui tutto ha diviso e, in fondo, tutto è cominciato. La teoria in questi anni è cambiata, si è sviluppata e ha seguito i casini della vita. È passata dalla rivendicazione corporativa e corporale dell’essere artista che vomita sul mondo la propria intimità, perché possiede il linguaggio opportuno, alla necessità di immaginare il proprio lavoro come un percorso continuo in cui ogni passo non va sprecato.


So che prima o poi pubblicherà il suo manuale. Nelle mie incasinate pile di libri, continuo a tenergli libero un posto di riguardo.