Michele Spanghero / Michele Tajariol
Ouverture

Asolo, Svernissage
agosto ― ottobre 2014

Ouverture
Daniele Capra




Site specific ed opera assoluta – svincolata cioè dal fatto di essere stata pensata per un determinato contesto – sono le due polarità entro cui si colloca, dal punto di vista teorico e processuale, la genesi di un’opera. La neutralità del contesto è perseguita come obiettivo (visivo e spaziale) dal white cube, impiegato da musei e gallerie sin dagli anni Sessanta, poiché (non)luogo in cui ogni differenziazione rispetto al bianco delle pareti è limitata. Banalmente potremmo dire che si odono maggiormente le parole che un’opera dice se il contesto è silenzioso e permette di sentire anche livelli di voce molto bassi. I luoghi, infatti, condizionano le opere: si pensi ad esempio alle dimensioni o alle particolarità architettoniche o cromatiche che caratterizzano uno spazio. Il white cube serve a questo, ad azzittire le pareti, a smorzare il pavimento, a rendere omogenea la luce.
Al contrario, l’opera site specific si giova delle differenze, delle difformità rispetto ad un modello basato sulla non interazione visiva. La mancata standardizzazione delle condizioni espositive diventa, infatti, un elemento costruens di cui l’artista può giovarsi: un ingrediente in più nel caso in cui accetti la sfida ad interagire e a farsi mettere in difficoltà. All’opera, in buona sostanza, va aggiunto un addendo rischioso, il cui effetto può essere anche peggiorativo rispetto alla condizione di partenza.

Giova considerare però che la polarizzazione tra opera assoluta e site specific è più labile e sfumata di quanto possa indurre a pensare tale divisione manichea, quanto meno per due motivi.
Il primo è che l’opera non è sempre uguale a se stessa, non tanto nelle sue componenti fisico-chimiche, ma nella nostra percezione visiva ed intellettuale. Successive letture ci permettono infatti di valutare come essa spazialmente inneschi relazioni con ciò che la circonda; o sia essa oggetto di piccoli ma significativi cambiamenti, di micro-adattamenti ambientali. E poi, soprattutto, sono i nostri orizzonti interpretativi a cambiare, poiché la lettura reiterata permette di sommare nuove interpretazioni, di allargare i campi semantici entro cui collocarla (inevitabilmente anche rispetto alla storia personale del possessore).
Il secondo motivo è che l’artista agisce, benché non sempre linearmente, per successive evoluzioni. Ogni opera è sostanzialmente un site specific del suo lavoro rispetto a sé, anche quando i progetti rimangono nel cassetto per anni prima di arrivare alla formula definita. L’opera «assoluta» è cioè leggermente meno assoluta di quanto si vorrebbe, perché porta con se interazioni, vincoli spaziali e psicologici maturati in anni di ricerca, presenti nella testa dell’artista, talvolta inconsapevolmente, come contesto. Conscio di questo Alberto Garutti scegli ad esempio di intitolare un’opera Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, mettendo assieme istanze esistenziali con altre di ordine ambientale.

Ouverture raccoglie il lavoro a quattro mani realizzato da Michele Spanghero e Michele Tajariol appositamente per lo spazio asolano di Svernissage, che è nel contempo dimora e studio di due appassionati d’arte. La mostra nasce dalla volontà di apportare un cambiamento agli spazi della casa e alle dinamiche di fruizione, modificando la volumetria e l’acustica di una delle stanze grazie all’aggiunta di un pavimento sospeso in legno rivestito di bianco. La superficie, completamente calpestabile, ricalca la planimetria della sala da pranzo ed è anche il luogo in cui è collocato l’impianto audio e le sculture che permettono di ascoltare le indagini sonore attuate su quello stesso ambiente.
Il contro-pavimento rialzato funziona in maniera duplice. (1) È da un lato un elemento architettonico (anche se temporaneo), poiché agisce sensibilmente sulla volumetria della stanza diminuendone la cubatura e facendo in modo che il soffitto sia percepito molto più basso: la stanza diventa cioè più piccola e accedere al vano risulta meno agevole, ma ad essere modificate sono anche la modalità con cui la luce ed il suono si diffondono all’interno di essa. Il visitatore che vede o accede allo spazio per la prima volta si troverà in una condizione di leggero spaesamento dovuto alle differenza tra la quota rialzata e la pavimentazione originale, mentre colui che conosce il luogo avvertirà in più una modificazione delle condizioni fisiche (a cominciare dal modo in cui suona la propria voce).
(2) Dall’altro ha una funzione performativa nomadica, non subito palese. La struttura, infatti, ha sin dalla sua progettazione anche una funzione scenica: è cioè un palco, una superficie dedicata ad ospitare qualunque tipo di azione/evento che presupponga un pubblico, poiché pensata da Spanghero e Tajariol per essere smontabile e utilizzabile in altri contesti. Nasce cioè come installazione site specific ma può essere agevolmente dislocata altrove conservando le sue proprietà, sebbene ne perda alcune di locali acquisendo invece altri aspetti di interrelazione.
La forma della stanza, ricalcata dalla sua superficie, rimane però immutata, assumendo la funzionalità di un calco in grado di duplicare quel luogo originario.

È la dinamica del calco l’elemento concettuale più stringente di Ouverture, e rappresenta il dispositivo teorico grazie a cui sono messi a confronto differenti approcci alla pratica performativa e all’analisi percettiva dello spazio cartesiano.
Michele Tajariol sceglie infatti di realizzare degli autoscatti in bianco e nero indossando degli oggetti presenti in quel luogo (una valigia, un libro, degli occhiali, ecc.), lasciando che essi si imprimano in maniera scultorea sul proprio corpo e nel contempo attestando la sua stessa presenza come traccia registrata bidimensionale nelle stampe fotografiche. È una ricerca legata all’affettività degli oggetti che abitano i luoghi domestici, dei quali, decontestualizzati e sottratti alla propria funzione, vengono così evidenziati il valore spaziale, il carico formale e la poesia delle cose, della roba.
Michele Spanghero, invece, ha scattato delle fotografie che documentano superfici di bianco di differente densità presenti all’interno della stessa stanza, proseguendo l’indagine sui luoghi espositivi e sui musei intrapresa con la serie Exhibition Rooms, sorta di precipitato su fotografia delle variazioni geometriche e cromatiche delle pareti della stanza. E inoltre i field recordings che registrano il silenzio della stanza nelle due differenti conformazioni volumetriche (con e senza palco) sono il calco delle onde sonore che diffondono, attraverso a delle sculture metalliche, differenti volumi di vuoto.
In ultima istanza Ouverture dimostra come il calco, sia esso oggettuale che sonoro, risulti un’astrazione dal profumo asciutto, ma seducente, del sublime.